Immaginiamo di fare un viaggio nel futuro. Siamo nel 3018 e il 90% della popolazione mondiale vive in megalopoli affollate. Per fortuna l’umanità ha trovato modi più smart e più sostenibili per muoversi da un luogo all’altro.
Non ci sono quasi più bianchi e non ci sono quasi più neri. Sì, qualche individuo dalla pelle indiscutibilmente chiara o scura c’è ancora, ma è una metta minoranza.
Non so quanti di voi hanno letto l’ultimo, vertiginoso romanzo di Ian McEwan intitolato “Nel guscio”. Be’, fatelo. A un certo punto uno dei protagonisti, John Cairncross, dice: «Una volta ho visto le cifre di uno studio. Se l’attività sessuale tra le razze prosegue come adesso, nel giro di cinquemila anni la popolazione del pianeta sarà tutta di uno stesso color caffelatte».
Prospettiva interessante, non trovate?
Una larga fetta di antropologi e genetisti oggi è impegnata a spiegare che se tornassimo indietro di qualche migliaio di anni troveremmo un parente in comune con chiunque sul pianeta. La ricostruzione più fedele della nostra storia sostiene infatti che siamo tutti quanti figli di un gruppo che 100 mila anni fa è uscito dall’Africa e ha colonizzato la Terra. Grazie agli studi genetici condotti su ossa preistoriche, sappiamo che gli europei fino a 7 mila anni fa non avevano affatto la pelle bianca. Questa è arrivata con due ondate migratorie: una dal Medio Oriente e un’altra dal nord della Russia.
Sono informazioni importanti, che ci aiutano a leggere meglio l’attualità. Ma trovo ancora più suggestive le proiezioni verso il futuro, perché le migrazioni e le unioni fra popoli differenti non saranno mai fermate.
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