Chi poteva immaginare che lo sport apparentemente più ecologico al mondo, il surf, praticato sfruttando la forza delle onde e la spinta delle braccia, potesse avere comunque un impatto ambientale?
Ma i surfisti sono oltremodo attenti alla tutela dell’ambiente naturale, perché praticando il loro sport in quel limite tra mare e terra, dove le onde rompono incontrando reef e fondali sabbiosi, possono ogni giorno toccare con mano gli effetti dei cambiamenti climatici, delle morie di pesci, dell’inquinamento dei mari.
Il problema è nella costruzione delle tavole da surf, che sono fatte di un’anima in polistirolo espanso o in poliuretano, ricoperta con strati di fibra di vetro impregnata con resine epossidiche o poliesteri. Sono tutti prodotti derivati dal petrolio e con un alto “carbon print”.
La nuova generazione di materiali per tavole da surf
La comunità dei surfisti e dei produttori di tavole è corsa ai rimedi, istituendo il progetto ecoboard. Si tratta di logo di ecocompatibilità che viene concesso a chi produce le tavole ricorrendo a tutte le possibili soluzioni per ridurre l’impatto ambientale.
Si comincia dall’anima della tavola, il “blank”, che deve essere realizzato con almeno il 25% di schiuma riciclata o con almeno il 25% di materiali biologici rinnovabili, come legno, bamboo, ecc.
Per la resina usata per laminare la “pelle” rigida superficiale della tavola, gli ultimi sviluppi vengono da prodotti che sostituiscono i componenti chimici derivati dal petrolio con altri di origine biologica (per esempio, prodotti di scarto dell’industria della carta). Per ottenere la certificazione, il contenuto biologico della resina deve essere tra il 25 e il 50%, a seconda dei tipi specifici utilizzati.
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