Le emissioni di grandi quantità di gas climalteranti in atmosfera stanno avendo effetti sul clima globale che sono sotto gli occhi di tutti. Le variazioni positive o negative della temperatura media dell’atmosfera terrestre sono fenomeni studiati già da diverso tempo e su cui si è concentrata l’attenzione della comunità scientifica internazionale. Allo stesso modo i cambiamenti climatici ed in particolare di circolazione atmosferica, indotti sempre dalle attività antropiche, ed il loro impatto sulle previsioni meteorologiche sono ancora una frontiera capace di generare nuove sorprese. Un team di ricerca guidato dai laboratori di scienze climatologiche e dell’ambiente del CNRS di Parigi, con la collaborazione delle Università di Stoccolma e Uppsala e del Centro EuroMediterraneo sui Cambiamenti Climatici di Bologna, ha utilizzato un approccio matematico innovativo per rispondere a questa sfida: i cambiamenti climatici faciliteranno o renderanno più difficili le previsioni meteorologiche? I risultati dello studio sono stati pubblicati Nature Communications.
I risultati dello studio
L’atmosfera è un sistema caotico e già questo limita di per sé l’affidabilità delle previsioni ad appena una decina di giorni. La probabilità che esse rispecchino la situazione meteorologica attesa, infatti, va decrescendo a partire dalle prime 24h fino a diventare praticamente nulla ad oltre 10 giorni. Per rispondere alla precedente domanda i ricercatori sono partiti dall’analisi dei dati di pressione atmosferica al livello del mare sulla regione nordatlantica, zona per cui si ha un lungo record temporale di dati (dal 1850 ad oggi). «Abbiamo innanzitutto studiato la coerenza del cambiamento di predicibilità tra modelli e osservazioni in un intervallo di tempo di 169 anni – spiega a La Rivista della Natura Davide Faranda, ricercatore del CNRS di Parigi e primo autore dello studio – E poi, allo stesso modo, abbiamo analizzato la coerenza delle previsioni future, a seconda dello scenario di emissione di gas a effetto serra fino al 2100». Per “misurare” la predicibilità, i ricercatori hanno utilizzato tecniche recentissime, sviluppate nell’ambito della teoria dei sistemi dinamici, un ramo della matematica applicata. «L’indicatore di cambiamento di predicibilità utilizzato è la dimensione locale – continua il Dott. Faranda – ogni giorno, la circolazione atmosferica può evolvere secondo un numero finito di possibilità, più piccola è la dimensione locale più l’atmosfera è prevedibile». I ricercatori hanno osservato che la dimensione locale diminuisce all’aumentare della temperatura globale per la maggior parte dei set di dati analizzati, a meno di quelli che raccolgono i dati oceanici dove non si è osservato lo stesso trend.
L’effetto hammam
«Per capire questa differenza con i dati oceanici, abbiamo utilizzato tre gruppi di simulazioni climatiche idealizzate e realizzate con emissioni di gas serra costanti – spiega il Dott. Davide Faranda – Un primo gruppo di simulazioni in condizioni simili a quelle presenti, un secondo con un oceano più caldo di 4°C, ed un ultimo gruppo con un contenuto di anidride carbonica pari a quattro volte quello attuale. L’aumento significativo della predicibilità è stato constatato nelle simulazioni del secondo gruppo: quelle con l’oceano caldo». I ricercatori l’hanno ribattezzato effetto hammam: un oceano più caldo di circa quattro gradi dunque altererebbe in maniera significativa le proprietà caotiche dell’atmosfera facilitando le previsioni meteorologiche. Una buona notizia? Non proprio. “Questi cambiamenti comportano profonde modifiche della circolazione atmosferica – conclude il Dott. Faranda – Ne deriva che i regimi meteorologici futuri, ovvero l’alternanza di perturbazioni e fasi di tempo stabile, saranno profondamente alterati”.