Non li vediamo quasi mai, ma sappiamo che ci sono; avvertiamo la loro presenza, a volte ne sentiamo persino l’odore o ne percepiamo i movimenti: una roccia che si muove, un ramo che si spezza.
Eppure di loro, gli animali, sappiamo moltissime cose. Dei grandi mammiferi, poi, conosciamo quasi tutti i segreti. Le tracce che gli animali lasciano dietro di sé sono segni inconfondibili della loro presenza, ma impronte, peli ed escrementi a volte non bastano.
Abbiamo bisogno di un occhio indiscreto, ma allo stesso poco invadente, quasi perfettamente mimetizzato con l’ambiente: l’occhio della fototrappola.
Era la fine del 1800 quando George Shiras, riconosciuto tutt’oggi come il padre della fotografia naturalistica, mise a punto le prime rudimentali fototrappole. Complessi intrecci di fili permettevano di intercettare il passaggio degli animali e di azionare da remoto la macchina fotografica.
Da allora queste macchine si sono evolute diventando sofisticati ed efficienti strumenti per la ricerca scientifica. Posizionate in punti strategici, grazie a sensori di calore e movimento, immortalano la fauna selvatica fornendo immagini e filmati unici che permettono di studiare il bosco quando i protagonisti sono proprio gli animali.
di Elisabetta Filosi
Ma a cosa servono realmente le fototrappole?
Ne ho parlato con Valentina Oberosler, ricercatrice postdoc al Muse di Trento, che ormai da alcuni anni studia la fauna selvatica grazie ai dati ricavati dalle fototrappole.
Il computer di Valentina “straripa” di foto; migliaia e migliaia di foto organizzate in cartelle e sottocartelle. Orsi, lupi, volpi, ungulati… c’è da perdersi e rimanere incantati per ore. Diverse cartelle sono nominate “Mongolia”, ed è li dentro che sono custoditi i tesori di una spedizione sui Monti Altai per il fototrappolaggio del leopardo delle nevi.
Primi piani mozzafiato, sbadigli e marcature; come divi su un set, sfilano leopardi delle nevi, gatti di Pallas, lupi e ghiottoni e posso solo immaginare l’emozione di Valentina nel visualizzare per la prima volta il contenuto di queste schede.
«Le fototrappole sono strumenti estremamente efficienti, richiedono un impegno di campo limitato, fanno quasi tutto da sole e soprattutto possono essere utilizzate per diversi tipi di ricerca» racconta Valentina. «Permettono di condurre indagini sulle specie presenti in una determinata area, di capire come cambia nel tempo l’abbondanza relativa e la distribuzione spaziale, di sapere quando e dove sono più attivi gli animali, ma anche di quantificare il disturbo antropico. A tal fine, qui in Trentino posizioniamo le fototrappole su strade e sentieri, spesso utilizzati anche dagli animali, per capire come anche l’uomo si muove nell’area di studio. Il metodo permette di accumulare una grandissima mole di dati, che ovviamente richiede moltissimo lavoro per poter essere analizzata. I dati grezzi, ossia le fotografie (parliamo di decine di migliaia di foto), devono essere convertiti in tabelle di dati rielaborati, utili ai nostri scopi».
Ultimamente l’abbassamento dei prezzi e il miglioramento delle tecnologie hanno reso le fototrappole molto più accessibili anche ai privati, ma quali possono essere i rischi di una così rapida diffusione di questi strumenti?
«I rischi ci sono e la questione è sempre più delicata» mi spiega Valentina. «Quando fototrappoliamo per la ricerca, i fini sono diversi: non siamo per forza interessati alla qualità estetica o all’originalità del prodotto. Il privato invece, spesso con la sua fototrappola vuole ottenere un video particolare, magari in contesti molto delicati come nei pressi di una predazione o di una tana. Questi comportamenti possono “alterare la scena” e influire sulla fauna selvatica. Ovviamente, non vale per tutti i privati, ma la regola dovrebbe essere sempre quella di “usare e non abusare”, in maniera proporzionata alle conoscenze delle specie che vogliamo “catturare” e alla consapevolezza di poter arrecare un disturbo. Inoltre non dobbiamo sottovalutare i problemi legati alla tutela della privacy. I sensori delle fototrappole reagiscono a tutti, non fanno differenze tra uomo e fauna».
Video di Massimo Vettorazzi. beholdingnature.it
Il valore della fototrappola va però ben oltre la ricerca. Quello che la fototrappola riesce a catturare ha per tutti un qualcosa di mistico, quasi surreale ed è difficile non rimanerne affascinati: incanta il bambino così come l’adulto. La fauna selvatica, con le sue abitudini e i suoi comportamenti, può essere portata a conoscenza di tutti; le immagini e i video che i ricercatori girano sono uno strumento potentissimo ai fini della comunicazione.
Possiamo mostrare un capriolo strofinare il suo palco su un ramo o un’orsa allattare i suoi piccoli, un tasso scavarsi una tana o nientemeno che un leopardo delle nevi marcare il territorio. Semplici gesti che, se ben spiegati, possono far luce su un mondo ancora troppo sconosciuto a un pubblico di non addetti ai lavori.
Sapere che gli animali ci sono, che utilizzano i nostri sentieri e che si soffermano nei prati che attraversiamo può essere un modo strategico per avvicinare la gente al mondo naturale, per promuovere una coesistenza intelligente e basata sul rispetto degli spazi e dei tempi di tutti coloro che vivono il bosco e gli ambienti unici che le nostre montagne, e non solo, ci riservano.