Partendo da Roma e percorrendo la Cristoforo Colombo in direzione mare, si arriva in uno dei posti più spettacolari del litorale romano, il Parco urbano Pineta di Castel Fusano che, con i suoi oltre 1000 ettari di estensione, è la più vasta area di verde pubblico della città.
Appartenuto a famiglie illustri come gli Orsini, i Corona, i Fabi, i Sacchetti e, infine, i Chigi, il Parco fu acquisito dal Governatorato di Roma nel 1932 e aperto al pubblico l’anno successivo, mentre l’istituzione del Parco urbano risale al 1980.
La vegetazione si presenta più o meno fitta, infatti, si hanno zone in cui sono presenti specie autoctone – caratterizzate da essenze mediterranee a prevalenza di Leccio (Quercus ilex), Corbezzolo (Arbutus unedo), Lentisco (Pistacia lentiscus), Fillirea (Phyllirea spp.), Erica arborea, Mirto (Myrtus communis), Alaterno (Rhamnus alaternus), Ginepro fenicio (Juniperus faenicia), Rosmarino (Rosmarinus officinalis) – e zone in cui prevale il Pino domestico (Pinus pinea), che fu introdotto alla fine del 1600 dando origine a un paesaggio monumentale che, seppur artificiale, ha un valore storico inestimabile.
Tuttavia, questo meraviglioso parco è ripetutamente soggetto a incendi di origine dolosa. L’ultimo dei quali poche settimane fa, quando un vasto rogo ha interessato l’area mandando in fumo circa 250 ettari di pineta. Già nel luglio del 2000, un altro disastroso incendio aveva colpito più di 280 ettari producendo ingenti danni alla pineta e alla macchia mediterranea. Un autentico sfregio ad un posto unico nel suo genere per vastità e complessità di cui ci si augura che le persone possano di nuovo godere in futuro.
Pino domestico, l’albero simbolo
Il protagonista della Pineta di Castel Fusano è il pino domestico (Pinus pinea), un albero sempreverde resinoso, con un’altezza che varia fra i 20 e i 25 metri. La chioma ha una forma globosa nelle piante giovani fino a 25-30 anni, poi in quelle adulte assume la caratteristica forma ombrelliforme.
Il tronco è nudo nei due terzi inferiori, eretto e nei vecchi esemplari spesso è biforcato ad un certa altezza, formando in questo caso due ombrelli distinti. La corteccia è grigiastra e liscia nelle piante giovani, poi, negli esemplari adulti diventa fessurata in grandi placche verticali rossastre. Le foglie sono costituite da aghi flessibili in coppie di due, lunghe generalmente 10-12 cm. Gli aghi, di colore verde glauco, sono rigidi e hanno apice giallastro, acuto, ma non pungente; germogliano a fine aprile e durante l’estate avviene l’abscissione dei vecchi. È una pianta monoica. I fiori maschili, detti microsporofilli, consistono in un breve peduncolo e in una parte distale squamiforme, sulla cui pagina inferiore vi sono le sacche polliniche. Sono di colore giallo-arancio e normalmente portati nella parte bassa della chioma. I fiori femminili, invece, sono detti macrosporofilli e consistono in due tipi di squame: squama copritrice sterile e squama ovulifera fertile e ispessita che porta due ovuli nella pagina superiore. Le macrosporofilli sono ovoidi di colore verdastro e si formano nella parte alta della chioma. Gli strobili sono molto pesanti, ovato-globosi, resinosi; hanno squame spesse, bruno-rossicce, lucide. Ogni squama porta due grossi semi detti pinoli e protetti da un guscio legnoso. Possono raggiungere i 200-250 anni di età.
Una zona in trasformazione
Il Parco urbano Pineta di Castel Fusano si trova nel XIII Municipio di Roma, a cinque chilometri a sud-est della foce del Tevere, in un’area che nel corso del tempo ha subito grandi cambiamenti ambientali, legati soprattutto alle variazioni del corso del fiume.
In epoca romana, la zona della foce lagunare era sfruttata per produrre enormi quantitativi di sale che, in quel periodo, era largamente utilizzato per la conservazione dei cibi.
In epoca medioevale, il territorio è stato interessato da una fase erosiva soprattutto a causa delle frequenti piene del Tevere, le quali determinarono un cambiamento della linea di costa.
Solo nell’Ottocento il delta del Tevere assunse le caratteristiche attuali con una costa sabbiosa preceduta all’interno da una zona paludosa, più bassa rispetto al livello del mare, costituita da stagni piccoli e grandi, come quello di Ostia e di Maccarese. Tuttavia, proprio per le caratteristiche paludose nell’area imperversava la malaria così, agli inizi del Novecento, si procedette a un’opera di bonifica mediante idrovore e canali.
Negli anni ’50 si ripresentò impellente il problema dell’erosione, dovuto alla costruzione di dighe lungo il corso del fiume e al prelievo di sabbia nel bacino del Tevere, oltre alla scomparsa del tratto di macchia mediterranea dalla duna costiera, formidabile difesa naturale contro l’erosione marina. Oggi delle dune rimangono alcune tracce solo nella zona di Castel Porziano e Capocotta e, per contrastare la forte erosione che ancora oggi interessa il litorale, sono state poste scogliere artificiali.
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