Durante il periodo estivo è più frequente il consumo di cocktail e drink al bar. Ma sono davvero sicuri i cubetti di ghiaccio che vengono aggiunti nei bicchieri? A una anno dalla sottoscrizione da parte del Ministero della salute del Manuale di corretta prassi operativa per la produzione di ghiaccio alimentare, l’Università degli Studi di Palermo ha condotto una ricerca sul ghiaccio prodotto dai bar.
«Sappiamo quali sono gli standard di igiene dell’acqua – ha spiegato Luca Settani, uno degli autori dello studio -. In questo caso, invece, ci siamo occupati del ghiaccio, una matrice che, dal punto di vista della selezione e della sopravvivenza di microrganismi contaminanti, ha ancora molto da raccontare».
Come è stata condotta la ricerca
Lo studio ha preso in analisi la produzione di ghiaccio nelle industrie, nei bar, nei pub e, infine, nel freezer di casa. In maniera del tutto casuale sono state prese in analisi 5 unità di ciascuno di questi tre settori.
A distanza di un mese l’uno dall’altro, sono stati effettuati due prelievi di cubetti di ghiaccio, che poi si sono lasciati liquefare.
«Le nostre analisi hanno rilevato, nelle campionature di tre bar e pub su cinque, concentrazioni consistenti di Enterococchi – ha aggiunto Settani -. In uno su cinque i livelli di Pseudomonas erano consistenti; infine, in tutti i cubetti dei locali erano presenti Coliformi. Per quanto riguarda le campionature industriali, in 2 casi su 5 erano presenti Enterococchi, in uno abbiamo rilevato Pseudomonas, mentre i Coliformi erano sempre assenti nel ghiaccio delle campionature industriali; infine, tutti i cubetti da freezer ospitavano Pseudomonas e, in un caso, anche i Coliformi. Secondo le disposizioni di Legge, nell’acqua potabile Enterococchi e Coliformi dovrebbero essere sempre assenti, quindi, non dovrebbero essere presenti neppure nei cubetti.
È indispensabile perciò capire quali sono i passaggi produttivi a maggior rischio. Inoltre, gli Enterococchi sono sotto costante osservazione da parte delle Autorità sanitarie e si sa che possono trasferire a chi li ingerisce la resistenza agli antibiotici. Patogeni sono invece alcuni Coliformi, benché le concentrazioni rilevate in questa campionatura possano essere efficacemente neutralizzate dal sistema immunitario di adulti sani. Ciò che non sempre accade nelle persone fragili, come i bambini, gli anziani, o i soggetti con ridotta capacità di difesa immunitaria. Infine, in tutti i 15 campioni, sono presenti contaminanti tipici delle tubature e, soprattutto nel ghiaccio casalingo, abbiamo rilevato molte muffe. La loro pericolosità è scarsa. Ma è chiaro quanto sia sempre opportuno proteggere i contenitori in cui si fa il ghiaccio di casa dal contatto con il diverso contenuto alimentare del freezer, così come dalla sfarinatura della brina, che imprigiona le particelle di polvere e cibi».
Gli esiti della ricerca sono stati sottoposti anche a Carlo Stucchi, Presidente dell’Istituto Nazionale Ghiaccio Alimentare (INGA), che ha così commentato i dati: «La produzione del ghiaccio per uso alimentare deve essere meglio tutelata, soprattutto per quanto riguarda l’autoproduzione destinata alla ristorazione collettiva. A garanzia del consumatore, è buona prassi che la produzione di ghiaccio nei locali pubblici segua le procedure HACCP, ovvero il protocollo volto a prevenire le possibili contaminazioni degli alimenti. In alternativa, il ghiaccio per uso alimentare può essere acquistato presso ditte specializzate».
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