Giuseppe Parini lesse un’ode presso l’Accademia dei Trasformati nel 1759: La salubrità dell’aria. Di seguito verranno riproposti solo pochi versi, poiché il testo ne ha 132. Il poeta riflette sulla differenza della qualità dell’aria che c’è tra il luogo di campagna in cui si trova e la città (Milano). Sono ormai note le differenti caratteristiche e si conoscono i danni e i benefici. Mi soffermerei a riflettere su una particolarità: 1759. Non 1959, ma 1759. Notevole. Non dovrebbe stupire in ogni caso, dal momento che anche nell’Antica Roma alcuni autori si lamentavano dell’aria cattiva respirata in città.
Ma colpisce comunque la sensibilità profetica del poeta, che in una strofa sembra quasi riassumere uno dei grandi problemi di oggi: ma qualcuno lucra sull’inquinamento? Domanda retorica.
Ebbene, Parini non elenca soluzioni, ma canta il clima della campagna, inneggia alla meraviglia della purezza della Natura, sottolineando anche nel titolo, La salubrità dell’aria, quanto lo stato dell’aria incida anche sulla nostra vita. Vi è una precisione matematica in questa prospettiva che pochi considerano: salute della Natura=salute dell’essere umano. Siamo collegati, indissolubilmente.
E Parini scrive con un tono accesso e duro, rammaricandosi con coloro che abbandonano la città a quello sgradevole stato di cose.
E il nostro impegno? Si può sempre fare qualcosa
Pera [possa morire] colui che primo
A le triste ozïose
Acque e al fetido limo
La mia cittade espose;
E per lucro ebbe a vile
La salute civile.
Giuseppe Parini, La salubrità dell’aria, vv. 25-30, Le odi