L’umanità è legata agli alberi da un rapporto ancestrale, testimoniato dal culto verso di essi che pervade ogni cultura. Civiltà lontane tra loro per ragioni geografiche appaiono vicine quando attribuiscono sacralità alle piante, che custodiscono il mistero dell’energia.
«Nel magnifico boschetto passeggiavano i monaci in tunica gialla, sedevano qua e là sotto gli alberi, immersi nella contemplazione» (Siddharta, Hermann Hesse). Il ficus religiosa è la pianta sotto cui Gautama riceve l’illuminazione e diviene il Buddha.
Nell’antico Egitto ogni albero che regalava un po’ di frescura e di ombra nelle distese desertiche era visto come una rappresentazione soprannaturale e gli dei troneggiavano a levante sull’alto sicomoro sacro.
Nell’area mesopotamica l’albero cosmico si chiamava Kiskanu, i suoi rami si estendevano fino all’oceano e abbracciavano tutto il territorio in cui vivevano gli umani.
Nella mitologia dei paesi nordici il frassino Yggdrasill sorregge con i suoi rami i nove mondi, nati dal sacrificio di Ymir.
Già tra i primitivi culti animisti l’albero è stato un simbolo universale, trasversale al tempo e allo spazio. Oggi guardiamo a queste manifestazioni come a pensieri selvaggi che emergono dai recessi di un mondo arcaico. Selvaggio, non a caso, da silva, foresta.
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