Questa seconda ondata pandemica ci sta riportando ad ipotesi più o meno generalizzate di lockdown che, come sappiamo, generano sulle popolazioni di tutto il mondo effetti economici devastanti, nonché ripercussioni pesantissime sul morale e l’equilibrio mentale.
In questo clima di negatività, ci sono stati anche dei risvolti positivi e uno di questi riguarda gli uccelli.
Come sappiamo, una delle conseguenze derivate dalla sospensione delle attività umane nelle aree metropolitane è stata il crollo totale dei rumori, che ha generato un silenzio assoluto al quale non eravamo abituati.
Questo nuovo scenario acustico ha attirato l’attenzione di un’equipe scientifica americana coordinata da Elizabeth Elderberry e, proprio pochissimi giorni fa, è stata pubblicata la loro ricerca sulla prestigiosa rivista Science.
L’intento degli studiosi era comprendere se e come fosse variata durante i blocchi pandemici l’attività di vocalizzazioni di alcune specie ornitiche nell’area della baia di San Francisco. I risultati emersi sono eclatanti quanto sorprendenti.
Vocalizzazioni straordinarie
La scorsa primavera, infatti, mentre gli uomini erano rinchiusi in casa a mangiare dormire, pensare, navigare sul web, gli uccelli si sono riappropriati di molti ambienti, anche urbani, generando nuovi modi di comunicare ed esibendo una serie di vocalizzazioni sorprendenti.
Nelle serenate romantiche, fatte di dolci melodie per conquistare le future compagne, gli uccelli sono stati indotti a modificare il proprio canto in funzione del silenzio irreale che si era creato.
Da un primo raffronto acustico con la Primavera precedente si è notata una reattività più rapida ed efficace, ovvero gli scambi e le risposte vocali degli uccelli erano più pronte rispetto ai periodi nei quali era presente il background sonoro metropolitano, composto da rumori e frastuoni.
Nella ricerca del team, che ha coinvolto anche altri atenei americani, le vocalizzazioni erano diverse, più veloci e con una gamma di tonalità più ampia, mentre in termini di potenza erano inferiori, meno “urlate” e un po’ più “romantiche”.
I livelli sonori dei canti degli uccelli, infatti, sono diminuiti di oltre quattro decibel durante il lockdown e poiché i decibel sono misurati su una scala logaritmica, le canzoni erano circa un terzo più morbide. Non essendo più costretti a coabitare con il frastuono umano, gli uccelli hanno anche abbassato il tono di 160 vibrazioni al secondo.
Senza bisogno di urlare
D’altra parte in una ricerca pubblicata qualche anno fa sul canto dei rapaci notturni era stato dimostrato che, in presenza di disturbo antropico, rumori cittadini molesti questi predatori alati erano costretti ad alzare il “volume” delle loro comunicazione vocali.
In questi casi, invece, è accaduto esattamente il contrario ed è bello constatare quanto la fauna selvatica possa riprendersi certi spazi, certe abitudini con una rapidità inattesa, quando il comportamento umano muta.
Una tendenza che apre spiragli ottimistici sui mali del nostro Pianeta e ci dà speranza sul fatto che alcuni problemi potranno essere curati se cambieremo le nostre abitudini.
Usando una frase tristemente di moda in questo periodo pandemico: dipende da noi!
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