Le ruote del fuoristrada corrono veloci e silenziose sul fondo liscio del lago salato di Uyuni (Bolivia) che sembra non avere mai fine. Intorno a noi la disorientante semplicità di una linea retta che definisce la divisione tra il bianco accecante del terreno e il blu di un cielo tanto intenso da apparire privo di sfumature.
A queste altitudini (3.670 m. sopra il livello del mare) l’aria secca e rarefatta rende tutto più nitido, accende i colori e confonde la percezione delle distanze.
In prossimità del confine di questa immensa massa candida e surreale riprendono forma le alture dell’altipiano. Proseguiamo verso est per poi deviare a sud fino a trovarci trasportati in un’altra dimensione, una realtà storica testimoniata da presenze tangibili e inquietanti. Sembrano materializzarsi dal nulla i profili di locomotive, carrozze e binari fantasma sparsi per l’intera area.
Era il 1890 quando venne inaugurata la tratta ferroviaria che, passando per Uyuni, univa Antofagasta (Cile) a Potosì (Bolivia).
Fondato nel 1545, il piccolo insediamento boliviano divenne presto la città più grande d’America, superando i 200.000 abitanti. La ragione di uno sviluppo tanto rapido e inaspettato fu la ricchezza di argento del sottosuolo. L’attività mineraria (non solo argento, ma anche oro e più recentemente stagno), ha rappresentato per diversi secoli la fonte di reddito principale per l’economia della regione. Col passare degli anni la discontinuità della produzione dei metalli si sovrappose alla concorrenza di altri siti sudamericani dove l’estrazione e il trasporto verso i mari per l’esportazione risultava più agevole ed economica. Così iniziò il lento declino di Potosì, citta ancora oggi mineraria dove l’aspettativa di vita si è fermata a quarant’anni.
La guerra con il Paraguay (1932 – 1935), dove i due Paesi si contesero la regione del Gran Chaco, complicò ulteriormente la situazione economica della Bolivia, mettendo in crisi anche il sistema ferroviario. Per decenni tutti i mezzi che necessitavano manutenzione per poter continuare a prestare il loro servizio, vennero depositati nei pressi di Uyuni nella vana attesa di essere revisionati.
Le condizioni atmosferiche e climatiche estreme dell’altipiano in breve tempo rivestirono ogni superficie di una spessa coltre di ruggine, trasformarono i macchinari in inerti sculture dall’anima museale.
Parcheggiato il fuoristrada inizio ad aggirarmi nel piazzale polveroso disseminato di lamiere e pesanti blocchi metallici. Scavalco assali e ruote deformate affossate nel terreno. Poi mi dirigo verso una carrozza. Aggrappandomi a un mancorrente dall’aspetto poco rassicurante risalgo una scaletta altrettanto malconcia e raggiungo il corridoio che porta alle cabine. Mi siedo su una delle poche panche ancora in buono stato e osservo le pareti in legno che mi circondano. Le immagino arredate, rivedo le scene di vita del secolo scorso. Proseguo lungo il corridoio fino a raggiungere la locomotiva a vapore. Incontro numerose scritte lasciate dai visitatori arrivati fin qui. Parlano di passione, di amori e di amore.
Molte nominano la Bolivia, come urla d’incoraggiamento per far risollevare uno dei Paesi più poveri del continente nonostante la sua ricchezza di materie prime. Tutto sembra riprendere vita grazie a quelle frasi, così i treni di Uyuni tornano a essere un simbolo di forza e di unione per il Paese.
Il momento dello scatto
Quando si capita di fronte a “troppa roba” da fotografare ci si può trovare in difficoltà. Meglio non farsi prendere dall’ansia e soprattutto dalla fretta. A volte una passeggiata priva di velleità fotografiche può essere una buona consigliera. Molto spesso, quando mi trovo in tali situazioni, preferisco lasciare la macchina fotografica nello zaino e limitarmi ad osservare piuttosto che scattare centinaia di foto senza criterio, senza aver prima trovato una storia da raccontare.
Arrivato sul sito mi resi immediatamente conto della potenzialità di ciò che avevo di fronte. Così iniziai a cercare senza sapere cosa. Furono proprio quelle scritte a incuriosirmi e a stimolarmi a raccontare perché fossero apparse proprio su quei treni.
Scelsi quindi il locomotore con la scritta che aveva attirato maggiormente la mia attenzione “Te quiero mi Bolivia” (ti amo mia Bolivia) e che in quel momento presentava una perfetta illuminazione. Definii il punto di ripresa in modo da creare una diagonale e un evidente punto di fuga per dare dinamismo all’immagine.
Il diaframma chiuso a f18 mi garantì una marcata profondità di campo. Impostai la sensibilità minima offerta dal sensore della mia macchina fotografica (ISO 200) e grazie alla luce tanto intensa dell’altipiano scattai a mano libera con un tempo dell’otturatore di 1/125”
Dati tecnici
- Data: 11/11/2013
- Corpo macchina: Nikon D3s
- Obiettivo: Nikkor 17/35 f 2,8
- Lunghezza focale al momento dello scatto: 17 mm
- Apertura diaframma: F 18
- Tempo otturatore: 1/125 sec.
- Compensazione esposizione: 0
- Sensibilità sensore: ISO 200
- Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)
VIAGGI FOTOGRAFICI di Davide Pianezze: