Il buco dell’ozono non è mai stato così piccolo dal 1988. Buone notizie, dunque, dal punto di vista ambientale. Anche se esistono ancora perplessità sulla natura degli strati più alti dell’atmosfera che potrebbero causare danni all’uomo. Il riferimento è ai raggi ultravioletti che vengono letteralmente intrappolati dall’ozono; e che se raggiungono la terra hanno il potere di alterare le caratteristiche genetiche delle persone, interferendo con la qualità del DNA. Ora però le cose vanno meglio per due motivi: l’incremento medio delle temperature nel mondo e lo stop all’emissione di gas serra. In questo modo i cosiddetti clorofluorocarburi vengono tenuti a bada con maggiore efficacia. Questi gas, presenti nei circuiti dei frigoriferi e negli spray, hanno il potere di rompere la molecola di ozono (costituita da tre atomi di ossigeno) per formare ossidi di cloro e molecole di ossigeno monoatomico che non svolgono alcuna funzione protettiva.
Attualmente il buco dell’ozono – situato nella stratosfera, a 50 km dal suolo – corrisponde a una grandezza pari a due volte e mezza la superficie degli Stati Uniti; è ancora ampio, ma molto ridimensionato rispetto a un tempo. La tendenza parrebbe incontrovertibile. E si suppone che le cose possano definitivamente migliorare entro il 2020; le stime indicano che fra tre anni le concentrazioni di clorofluorocarburi nell’atmosfera inizieranno a uniformarsi alle percentuali degli anni Ottanta (quando ancora le condizioni ambientali erano tollerabili). E a beneficiarne, oltre all’uomo, saranno anche gli animali delle alte latitudini. Secondo una ricerca condotta dagli statunitensi Nathan P. Gillett e David W. J. Thompson, infatti, il buco dell’ozono negli anni passati ha rafforzato i venti ciclonici, determinando uno sviluppo smodato dei ghiacciai. Interferendo con il normale cammino dei pinguini; che in varie aree dell’Antartide rimangono a rischio estinzione.
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