Negli ultimi 20 anni la Cina è diventata il maggior consumatore al mondo di acqua in bottiglia e persino il maggior produttore.
La crescita esponenziale del business ha spinto Pechino a cercare nuove zone di espansione per questo mercato e, senza andare troppo lontano, l’occhio è caduto sul Tibet, il cui governo ha approvato le licenze per 28 compagnie intenzionate a spostare lì la propria produzione. Quella che arriva dall’altopiano del Tibet è acqua minerale particolarmente pregiata, secondo il mercato cinese, e capace di raggiungere cifre di mercato ragguardevoli. Inoltre, la Regione gode di un sistema fiscale particolarmente vantaggioso.
Una compagnia, la Qomolangma Glacier Water, imbottiglia la propria minerale all’interno di una riserva situata ad appena 80 chilometri dal campo base del monte Everest.
Ma quali sono i costi ambientali di questa nuova politica? Neppure a dirlo, si tratta di una mossa che a lungo termine potrebbe avere conseguenze pesanti su tutto l’ecosistema della zona.
Se nell’immediato lo scioglimento dei ghiacciai significa maggiore disponibilità di acqua da imbottigliare, a lungo termine le riserve idriche potrebbero venire messe a dura prova.
Secondo la Chinese Academy of Science, infatti, i ghiacciai dell’altopiano del Tibet si sono già ristretti del 15% nel corso degli ultimi tre decenni.
Non solo: in questa regione, conosciuta anche come “terzo polo” perché dopo Artico e Antartide custodisce le maggiori riserve di acqua dolce, si trovano anche le sorgenti dei dieci maggiori fiumi dell’Asia. Insomma, quello che ora pare un investimento vantaggioso rischia di presentare un conto salato, tanto più che nessuna delle compagnie ha finora reso noti i propri report riguardo al controllo degli inquinanti rilasciati nell’atmosfera durante il processo di imbottigliamento e riguardo alle proprie politiche ambientali.
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