L’emergenza Coronavirus che ha investito il Nord Italia come una doccia fredda, costringendo i cittadini di svariate regioni a dover improvvisamente cancellare impegni e spostamenti, riorganizzare la quotidianità e attrezzarsi con misure precauzionali straordinarie, ci offre lo spunto per riflettere su alcuni temi.
In primis, ci ha fatto sperimentare quanto sia davvero iperconnesso il nostro mondo. Il pensionato di Codogno, con la sua tranquilla routine settimanale casa – bar – medico di base, non si rendeva conto, fino a poco tempo fa, di quanto pochi fossero i suoi gradi di separazione con l’operaio di Wuhan in Cina, una città di 11 milioni di abitanti di cui fino a poco fa nemmeno sospettava l’esistenza.
Collegamenti rapidi e incontrollabili
E gli abitanti delle regioni del Sud Italia, che mai prima d’ora avevano sentito nominare il paesotto della Bassa lodigiana, osservano preoccupati la comparsa di casi puntiformi di infezione anche nelle loro province, e si domandano come mai così tanta gente di tutta Italia si rechi regolarmente proprio a Codogno.
Chi fino ad ora si è illuso di vivere in una comunità locale, protetta, dove può difendere la sua identità e le sue tradizioni, adesso deve proprio arrendersi: la verità è che tutto il mondo è ormai collegato in modo strettissimo, rapidissimo, incontrollabile.
E questo ci porta alla seconda riflessione: questa iperconnessione, che a noi occidentali garantisce un livello di benessere mai sperimentato prima nella storia dell’umanità, può diventare anche un pericolo che evidentemente non siamo pronti ad affrontare, quando si tratta della trasmissione di malattie.
Una lezione da imparare?
Le ‘prove generali’ di contenimento che abbiamo messo in atto stavolta sono miseramente fallite. Qualche stazione di controllo agli aeroporti, alcune quarantene, e un po’ di mascherine indossate più o meno a caso non sono servite, e il Covid-19 ha raggiunto in brevissimo tempo tutti gli angoli del globo, o quasi.
Fortunatamente questa volta avevamo a che fare con un virus nemmeno troppo preoccupante dal punto di vista del tasso di mortalità; e se la prossima volta non fosse così?
La prossima volta saremo più pronti ed efficienti nell’istituire controlli più ferrei, a costo di fermare i manager che viaggiano per stringere accordi, compromettere gli scambi di merci, frenare i flussi turistici?
Terzo punto di riflessione: i patogeni dell’uomo non sono gli unici ospiti indesiderati che inconsapevolmente trasportiamo da un capo all’altro del pianeta.
Le specie aliene
Parassiti e malattie di piante e animali attraversano oceani e continenti a bordo di container, nelle scarpe o valigie di viaggiatori, sulle chiglie delle imbarcazioni, mettendo a rischio le nostre foreste, le nostre produzioni agricole, i nostri stock ittici, la nostra biodiversità.
Noi scienziati li chiamiamo ‘specie aliene’, e da decenni insistiamo perché vengano ideate ed attuate delle rigorose politiche di ‘biosecurity’, come ad esempio quelle australiane.
Purtroppo, non molto si è fatto in Europa, fino al rivoluzionario Regolamento UE 1143 del 2014 sulle specie aliene invasive, che però ad oggi si fatica ancora a mettere in atto.
Forse l’eredità del coronavirus sarà proprio questa: farci prendere maggior consapevolezza di questo problema e farci fare qualche passo avanti verso una gestione più ragionata dei movimenti globali di merci e persone.
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