Durante l’ultimo periodo interglaciale, 125 mila anni fa – l’ultima volta in cui la Terra è stata lievemente più calda rispetto a oggi – il livello del mare all’epoca era tra i 3 e i 9 metri più alto di adesso.
Se le emissioni di gas serra continueranno al ritmo attuale, nel 2100 il livello del mare sulla Terra potrebbe aumentare anche fino a un metro, con danni sempre maggiori per mareggiate e fenomeni estremi.
Questa valutazione è stata pubblicata sulla rivista Earth System Science Data, in uno studio dal titolo “The World Atlas of Last Interglacial Shorelines”, a cui hanno partecipato i professori Matteo Vacchi dell’Università di Pisa e Alessio Rovere dell’Università Ca’ Foscari di Venezia come primo autore.
La ricerca ha messo insieme tutti i dati esistenti relativi al livello del mare, fondamentali per delineare dei modelli climatici futuri.
A livello globale le zone più vulnerabili all’innalzamento del livello del mare sono gli atolli nel Pacifico e le gradi piane costiere del sud-est asiatico.
Per quanto riguarda il Mediterraneo sono particolarmente vulnerabili la laguna di Venezia, l’alto Adriatico e in generale le grandi piane costiere, per esempio il Volturno di Napoli, ma anche la piana pisana in Toscana.
Per il nord Africa, le zone costiere pianeggianti della Tunisia, del Marocco e il Delta del Nilo.
Preoccupano i tassi di risalita
«Nel periodo interglaciale le condizioni climatiche erano dovute a un cambiamento nella configurazione orbitale della Terra. Il riscaldamento climatico odierno deriva, invece, in larga parte dall’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera dovuto all’effetto antropico» spiega Matteo Vacchi.
Prima responsabile dell’innalzamento dei mari sarebbe la fusione delle due grandi calotte polari del Pianeta, Groenlandia e Antartide.
«Nella Terra ci sono stati dei periodi in cui il livello del mare è salito al di sopra dell’attuale, ma quello che preoccupa oggi sono i tassi di risalita, ovvero l’accelerazione avvenuta negli ultimi 150 anni, in concomitanza con l’inizio della rivoluzione industriale» conclude Vacchi.
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