Questa splendida composizione, nata dalle abili mani dei grafici de La Rivista della Natura che hanno valorizzato le immagini di Fabio Russo (sequenza in alto Thysanozoon brochii) e di Fabio Iardino (l’animaletto rosso Gastropteron rubrum), sarebbe piaciuta moltissimo ad Etienne Jules Marey, uno dei padri semi-dimenticati della cinematografia e in particolare di quella scientifica. Scienziato eclettico, fisiologo, cardiologo e inventore, verso la fine dell’Ottocento Marey costruì un apparecchio di ripresa che chiamò prima pistola o fucile fotografico e poi fotocronografo con il quale riuscì a riprendere in uno studio attrezzato con acquari il movimento natatorio di diversi pesci (quali, ad esempio, la razza e il cavalluccio marino).
I due soggetti fotografati dai nostri fotosub, zoologicamente parlando, sono, rispettivamente, un platelminta o verme piatto (il T. brochii) e un mollusco (il G. rubrum), per essere precisi un opistobranco, quindi una lumaca di mare, affine, in un certo senso, ai nudibranchi pur conservando ancora una conchiglia.
Il motivo di tale accostamento va ricercato nel loro particolare modo di nuotare, anzi di volare. Se guardiamo queste sequenze, infatti, e si riflette sul fatto che la vita è nata nell’acqua, non si può fare a meno di pensare che forse la natura e l’evoluzione hanno messo a punto, proprio in quest’ambiente, i principi del volo. In fondo, non ci sarebbe niente di strano se ciò si dimostrasse vero perché tanto l’acqua che l’aria sono due fluidi che differiscono tra loro soprattutto nella densità, molto maggiore nel mezzo liquido.
In mare ci sono volatili che nuotano come i pinguini, decisamente marini, e poi altri uccelli come i cormorani le cui capacità natatorie e di apnea sono ben note. Tra gli animali che, invece, non lasciano l’ambiente acquatico e nuotano volando ce ne sono diversi con razze, aquile di mare e mante in primo piano. Ad essi si associano i due invertebrati qui ripresi (è il caso di dirlo), che rappresentano un caso di convergenza evolutiva.
Diversi tra loro per biologia, struttura ed evoluzione – e separati nei libri di zoologia da parecchie pagine – il verme piatto e il mollusco vivono entrambi a contatto con il fondale e si muovono per lo più strisciando, l’uno con tutto il corpo e l’altro con il piede. In caso di necessità, pericolo o desiderio di andare più rapidamente, entrambi si mettono a “volare” e questo, come si sta scoprendo almeno nei nudibranchi e specie affini, dipende dall’intervento di speciali neuroni.
La tecnica è molto simile, come si può valutare dalle immagini, ma i due animali utilizzano parti anatomiche diverse: il corpo nel verme piatto e due lobi del mantello o parapodi nel mollusco. Sollecitando i loro muscoli con impulsi nervosi ben calibrati, verme e mollusco producono delle ondulazioni del loro flessibile corpo che, diventato ala tutto o in parte, avanza grazie allo spostamento all’indietro di masse d’acqua. Le ondulazioni avvengono in senso dorso-ventrale e sono tanto più rapide e ravvicinate quanto più il volo diventa veloce. In realtà, come hanno messo in evidenza alcuni studi, la cosa è più complessa perché la velocità massima, e quindi la massima resa nella propulsione, si raggiunge quando la lunghezza d’onda (l’oscillazione) dell’apparato propulsivo raggiunge la specifica lunghezza d’onda ottimale per quell’organismo.
Questo tipo di nuoto volante può apparire un’anomalia, ma è prima di tutto un adattamento nella locomozione di animali che abitualmente vivono appoggiati sul fondo e poi, se ci pensiamo bene, la differenza con il nuoto dei pesci non è così grande. Anche in questi vertebrati acquatici, infatti, il movimento dipende da ondulazioni del corpo o delle pinne, con la sola differenza che queste avvengono sul piano laterale, come mostrava il buon Marey quasi 150 anni or sono con le immagini del suo fotocronografo.
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