«L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente».
È uno dei pensieri custoditi nel Libretto di appunti – oggi noto come Codice Trivulziano 2162 – sul quale Leonardo da Vinci schizzò e scrisse durante gli anni del suo primo soggiorno milanese.
Il genio del Rinascimento italiano, del quale quest’anno si celebrano i 500 anni della scomparsa, vide nello scorrere delle acque di un fiume il divenire del mondo, dove i contrari possono coincidere e ogni fine è anche un inizio. Questo concetto rinvia al Panta rei di Eraclito: “tutto scorre, tutto si trasforma”. Il filosofo greco affermava che non ci si bagna mai due volte nella stessa acqua di un fiume.
La metafora è adoperata per porci di fronte all’eterno divenire delle cose, per toglierci ogni illusione sulla possibilità di cogliere qualcosa “che permane”, una forma di essere che sia diversa dal divenire. Il lógos (la ragione) dell’uomo può solo conoscere il fluire ininterrotto governato da un lógos divino che annulla le differenze e rende uguali il nascere e il morire, il vecchio e il giovane.
È l’uomo, però, l’artefice di questa unificazione. È l’uomo che riesce a strappare dal passato ciascun istante della propria vita per proiettarlo nel futuro. Il presente, dunque, è la capacità dell’uomo di sottrarsi al nulla, di trattenere il fiume che scorre, di abbracciarlo in ogni istante tutto, dalla foce alla sorgente.
Il presente dei giorni in cui viviamo è anche la capacità dell’uomo di affrontare e vincere una grande sfida: quella dell’acqua e per l’acqua. Solo se sapremo giungere a un uso più sapiente di questo bene prezioso riusciremo a rafforzare la solidarietà fra i popoli, le comunità, i paesi, i generi, le generazioni.
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