“Su oltre 8000 chilometri di coste, più della metà sono da considerarsi perduti in quanto ridotti ad agglomerati lineari semi urbani, squallidi e ininterrotti, che riproducono sulla riva del mare gli aspetti peggiori delle concentrazioni cittadine, stroncano ogni continuità fra mare e risorse naturali dell’entroterra, e distruggono praticamente la stessa potenzialità turistica delle zone investite”. Era il Settembre del 1966 e il giornalista Antonio Cederna, ambientalista ante litteram, lanciava uno dei suoi più accorati j’accuse dalle pagine dell’Espresso.
Sono trascorsi 50 anni e la situazione si è fortemente aggravata. A poco, spesso a nulla sono valsi gli allarmi e le proteste, il saccheggio del litorale è proseguito in modo furioso e dissennato. “Italia: l’ultima spiaggia”, il nuovo dossier del WWF, ricorda che nell’ultimo mezzo secolo altri 2000 chilometri di costa sono stati cementificati. La maglia nera della densità urbanistica (con indici di urbanizzazione che vanno dal 50 al 60%) spetta al versante tirrenico (con quasi tutta la costa della Liguria, il Lazio centro-meridionale e la Campania centro-nord) e al settore emiliano-romagnolo/marchigiano/abruzzese del versante adriatico. Come documentato, grazie agli studi dell’equipe coordinata dal professor Bernardino Romano dell’Università dell’Aquila, la densità dell’urbanizzazione in una fascia di 1 km dalla linea di costa è passata in media dal 10 al 21%, ma in Sicilia ha raggiunto il 33% e in Sardegna il 25%. Tra il 2000 e il 2010, secondo l’Istat, sono stati costruiti 13.500 edifici, 40 edifici per Kmq, nella fascia costiera di un km dalla battigia (nei versanti tirrenico e adriatico) e più del doppio sulla costa jonica. Inoltre nei nostri mari ci sono 122 piattaforme offshore per l’estrazione degli idrocarburi attive, 36 sono le istanze per nuovi impianti, transitano enormi quantità di merci containerizzate e l’attività di pesca è in caduta verticale, poiché il 93% dei nostri stock ittici è sovra sfruttato.
Oggi sopravvivono 1860 km di tratti lineari di costa più lunghi di 5 km (isole comprese) ancora liberi e con un buon grado di naturalità. Rappresentano il 23% dei nostri litorali, su circa 8000 km complessivi. È da lì che occorre partire per invertire rotta. In particolare – sottolinea il WWF – bisogna puntare su quattro grandi aree strategiche per la biodiversità dei nostri mari: la zona tra il Mar Ligure ed il parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, dove la grande ricchezza di plancton favorisce un’elevata concentrazione di cetacei, il canale di Sicilia, con montagne sottomarine dove si trovano cumuli di coralli bianchi e zona di deposizione delle uova per tonni, pesci spada e acciughe e area di nursery dello squalo bianco, il Mare Adriatico settentrionale, che vede una delle popolazioni più importanti di tursiopi del Mediterraneo ed è una delle aree di alimentazione più importanti della tartaruga marina Caretta caretta, e l’area del canale di Otranto nell’Adriatico meridionale, dove persistono habitat importanti per lo zifio, il diavolo di mare, la stenella striata, la foca monaca e il pesce spada. È qui dunque che si concentra la maggiore ricchezza delle nostre risorse marine e costiere e la loro tutela potrebbe condurci sulla rotta di un’economia blu sostenibile.
Al di là delle perle di valore naturalistico, paesaggistico e storico-artistico diffuse in maniera puntiforme in tutto il Paese, il WWF individua sulla costa tirrenica 16 segmenti più lunghi di 5 km, liberi dall’urbanizzazione, da preservare integralmente per il loro valore ambientale per un totale di 144 km (15 km tra Viareggio e Pisa, 20 km tra Grosseto e Orbetello, in Toscana; 15 km da Latina a Sabaudia, nel Lazio; 12 km tra Camerota e San Giovanni Piro, in Campania); sulla costa adriatica, invece, sono circa 200 i km preservati che vanno pienamente tutelati (i segmenti più lunghi si trovano in Friuli Venezia Giulia, Marano Lagunare; in Veneto, 50 km tra Porto Viro e Goro; e in Puglia, 14 km lungo la costa del Lago di Lesina).
Nel dossier “Italia: l’ultima spiaggia” l’associazione indica anche quali possano essere gli strumenti istituzionali per salvare le coste e i mari italiani. Si chiede innanzitutto:
1. una moratoria della nuova edificazione nella fascia costiera, sino a quando non saranno approvati i piani paesaggistici in tutte le Regioni, e il blocco dei rinnovi automatici di tutte le concessioni balneari, come richiesto dalla Corte di Giustizia europea, sino a quando l’Italia non si doterà di una normativa che preveda l’obbligo di gara;
2. uno stretto coordinamento operativo tra i Ministeri, le Regioni e i Comuni, non solo nell’implementare la strategia nazionale marina, integrandola con i piani di gestione dello spazio marittimo, richiesti dall’Europa, ma anche nel trasformare il Santuario internazionale Pelagos in un’area di effettiva tutela dei cetacei, al di là dei confini dei singoli Stati (Italia, Francia e Principato di Monaco).
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