Le colate di cemento e gli sbarramenti lungo in fiumi, adottati finora come soluzione di sicurezza al pericolo alluvioni, sono dei veri e propri moltiplicatori del rischio.
In Italia, negli ultimi 50 anni, si è consumato suolo per circa 2mila chilometri quadrati, equivalenti a 310mila campi da calcio.
Il nuovo report del WWF Liberiamo i fiumi delinea lo stato di salute – a volte pessimo – dei corsi fluviali in Italia. E lancia un allarme: più si interviene sulla Natura, più i fiumi diventano pericolosi.
Una minaccia per 7,7 milioni di cittadini
I fiumi sono una cartina tornasole del consumo di suolo: la mancanza di un’efficace pianificazione strategica ha consentito ai quasi 8mila comuni italiani di svilupparsi spesso in modo autonomo, rispetto al contesto territoriale a cui appartengono, e in modo scoordinato tra loro, esponendo i propri cittadini a una serie di rischi.
Si è costruito non solo a ridosso, ma addirittura dentro gli alvei: negli ultimi anni, il Trentino Alto Adige ha incrementato del 12% il consumo nelle fasce fluviali, il Piemonte del’9%, l’Emilia Romagna con dell’8,2%, la Lombardia dell’8% e la Toscana del 7,2%. Una crescita sregolata e smodata che ora espone 7,7 milioni di italiani al rischio di alluvioni.
Ritorno alla Natura
Cambiare il trend è possibile, ma anni di consumo smodato di suolo non possono essere corretti con interventi immediati. «Per cercare di contenere e invertire questo trend sarà necessaria un’articolata, lunga e complessa azione, che tenga conto della gigantesca dimensione sociale coinvolta», commenta il WWF che ha lanciato la campagna #LiberiAmoifiumi.
La soluzione più efficace sul lungo periodo è quella di far tornare i fiumi al loro stato naturale. Una scelta vincente tanto per la sicurezza dei cittadini, quanto per le casse dello Stato. «La rinaturazione è indispensabile per favorire il sempre più urgente adattamento ai cambiamenti climatici, ma è anche conveniente: da alcuni studi, per esempio, sull’industria della rinaturazione (restoration ecology) si evidenzia che gli effetti occupazionali totali vanno da 10,4 a 39,7 posti di lavoro per 1 milione di dollari investiti, mentre con l’industria petrolifera e del gas ne supporta circa 5,3 posti per 1 milione di dollari investiti» conclude il WWF.
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