Da tempo siamo indotti a credere che la sostenibilità ambientale e sociale siano entrate di diritto nelle strategie aziendali dei grandi gruppi industriali. Ce lo fanno credere gli esperti di marketing, certe pubblicità e anche buona parte dell’informazione. E ce lo fa credere l’errata convinzione che oggi un’azienda per primeggiare deve prestare attenzione a nuovi valori e non solo al profitto.
Di tanto in tanto però questo sogno s’infrange con la cruda realtà. Lo scandalo Volkswagen ha incrinato non poco la fiducia dei consumatori. Un’impresa che aveva fatto della serietà e dell’affidabilità il proprio marchio di fabbrica è finita nella lista dei cattivi.
La vicenda va ben oltre i confini delle norme antismog e apre inquietanti dubbi sullo strapotere tecnologico delle multinazionali. Strapotere tecnologico che si traduce anche in controllo dell’informazione. La domanda che s’impone è la seguente: cosa sappiamo riguardo al reale impatto sulla salute dell’uomo e sull’ambiente dei prodotti che usiamo e consumiamo ogni giorno?
Se guardiamo agli scandali che emergono di tanto in tanto, e che riguardano non solo le questioni ambientali bensì anche i diritti negati, al riguardo è sufficiente pensare alle condizioni di lavoro in tante fabbriche situate nei paesi in via di sviluppo ma al soldo di noti gruppi occidentali, si ha la netta impressione che vi sia una diffusa strategia volta a negare ogni informazione e ogni interferenza nell’organizzazione delle multinazionali.
I fautori della crescita illimitata e delle produzioni esasperate forse non si rendono neppure conto delle conseguenze di tutto questo. Si stanno aprendo ogni giorno profonde ferite al diritto all’informazione. Ciò dovrebbe allarmare tutti noi, soprattutto quando sono chiamate in causa questioni come il diritto alla salute e a un’alimentazione sana e sufficiente.
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