Quando si pensa all’inquinamento dell’aria, il pensiero corre subito al gas di scarico delle auto. C’è, però, un altro fattore rimasto fino ad oggi ancora sottovalutato: l’inquinamento causato dal traffico marino.
A puntare l’attenzione sui rischi ambientali prodotti da navi e imbarcazioni ci ha pensato una ricerca dell’Università svedese di Lund pubblicata sulla rivista scientifica Oceanologia, che mostra come, lungo le coste, la concentrazione di nanoparticelle sia preoccupantemente alta.
“Per la prima volta si è cercato di calcolare la percentuale di nanoparticelle derivate dal traffico marino” – ha spiegato Adam Kristensson del dipartimento di ingegneria dell’università scandinava – . Fino ad oggi questo dato è stato sottostimato, poiché si pensava che la maggior parte degli inquinanti non provenisse dal mare, ma dal traffico generato sulla terra ferma.
A rendere particolarmente insidiose le nanoparticelle è la loro dimensione: un centimetro cubo ne potrebbe contenere a migliaia e – viste le loro ridotte proporzioni – le nanoparticelle sono in grado di penetrare e sedimentarsi nei polmoni, causando seri danni sia all’apparato respiratorio, sia al sistema cardiovascolare.
Le misurazioni sono state compiute nel sud della Svezia e lungo la costa della Lituania. Le particelle rilasciate dalle navi in transito nelle acque del Baltico possono compiere lunghe distanze prima di venire inalate. Analizzando i dati del traffico marino nel Mare del Nord e nel Mar Baltico, gli studiosi hanno stimato che ogni anno l’inquinamento marittimo sia responsabile di 10mila morti.
Solo leggi e controlli più stringenti potrebbero permettere una significativa riduzione degli inquinanti. “Qualcosa si sta già muovendo – ha concluso Kristensson -. Una nuova regolamentazione, introdotta quest’anno, ha limitato il contenuto di solfato nei combustibili allo 0,1%. Solo i dati raccolti in futuro potranno però dirci se questa è la strada giusta da perseguire”.
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