Quest’anno ho avuto il piacere di conoscere il direttore Luciano Sammarone durante una visita al Parco, grazie a un soggiorno a Villetta Barrea, il comune dei cervi, così chiamato perché questi splendidi animali presenti in gran numero nei dintorni, quando il disturbo cala, entrano anche nelle vie del paese, insieme ad altri selvatici e talvolta anche all’orso. Ma il plantigrado in Abruzzo è visto con grande simpatia e mai ha creato problemi di aggressioni all’uomo, commettendo solo qualche furtarello in pollai e alveari e alcune predazioni sul bestiame, che vengono sempre indennizzate dal Parco.
L’occasione dell’incontro era stata per la presentazione del mio libro “Cani, falchi, tigri e trafficanti” nella splendida cornice del centro servizi del PNALM a Villetta Barrea. Per l’occasione erano presenti anche i Carabinieri Forestali, sia locali che della CITES di Roma, che avevano allestito una piccola mostra di animali sequestrati.
Da questa piacevolissima esperienza, considerando che un parco è il luogo dove ogni naturalista si sente a casa, nasce questa intervista a Luciano Sammarone con il quale si è creato un rapporto di reciproca stima:
Quest’anno, anche per la pandemia, il Parco è stata una meta molto frequentata, non solo da un pubblico di appassionati ma molto eterogeneo. Ci sono stati maggiori problemi per la tutela delle aree naturali?
«La risposta è sì, per almeno due ordini di ragioni. La prima è legata banalmente al numero di persone che hanno frequentato il Parco, con un aumento incredibile di mezzi circolanti che hanno determinato accumulo di “stress” al sistema Parco, sia in termini di inquinamento (gas di scarico, rifiuti, ecc.), sia in termini di utilizzo delle risorse, intese come prati, sentieri, boschi, ecc. È chiaro che da questo punto di vista siamo chiamati a fare delle valutazioni per fare un bilancio complessivo, mettendo a confronto gli aspetti economici, assolutamente positivi, con quelli ambientali. Il tutto per provare a trovare soluzioni gestionali adeguate ad assicurare la conservazione a lungo termine, oltre ad una qualità del servizio Natura offerto dal Parco all’altezza delle aspettative. Pensare ad un sistema di mobilità sostenibile, con punti di snodo in cui far lasciare i mezzi privati per ridurre il numero di veicoli circolanti è ora una priorità a cui dare risposte adeguate. L’altra ragione per la quale l’alta affluenza turistica ha comportato qualche problema all’ecosistema del Parco è legato al livello non sempre adeguato di consapevolezza con cui molti visitatori si sono avvicinati al nostro territorio. Tante, troppe volte durante la scorsa estate ho sentito persone che parlavano del Parco come una sorta di Gardaland, ovvero un “parco giochi” in cui trascorrere del tempo, senza però essere pienamente consapevoli dei valori ecologici ed ambientali che vengono custoditi nel nostro territorio e del fatto che girare sui sentieri e per i boschi del Parco richiede un’attenzione maggiore, moltiplicata rispetto a quella che abitualmente dobbiamo comunque avere tutte le volte che ci avviciniamo ad ambienti naturali. Da questo punto di vista è chiaro che dobbiamo fare di più e meglio in termini di comunicazione verso il grande pubblico».
I turisti spesso hanno un atteggiamento “predatorio” per cercare di vedere gli orsi. Quali strategie adotta il Parco per contenere questa cattiva abitudine?
«Da molti anni il Parco sta lavorando per limitare gli effetti deleteri di questo atteggiamento sia con campagne di comunicazione mirate, sia con limitazioni all’accesso di alcuni sentieri particolarmente delicati in alcuni periodi dell’anno. Nel complesso ci sono stati sicuramente dei passi avanti, ma nonostante gli sforzi fatti anche in termini di sorveglianza e controllo, ricordo che nel 2018 vennero denunciati 3 fotografi. Ci sono sempre persone singole o in piccoli gruppi che ritengono di poter derogare dalle regole, infrangendole, e superando il limite che ci sono per tutelare gli orsi. Quest’anno la storia dell’orsa Amarena con i suoi quattro cuccioli ha fatto letteralmente esplodere il fenomeno del bearwatching, e siamo stati costretti a intensificare i controlli arrivando a mettere in campo fino a 3 pattuglie al giorno di guardaparco e carabinieri forestali, riscontrando grande attenzione alle limitazioni introdotte dai sindaci da parte dei residenti e molta meno da turisti e visitatori. Continueremo a lavorare in tutte le direzioni, ma fino a quando non ci sarà da parte di tutti la consapevolezza che il disturbo è un elemento oggettivo e non soggettivo, sarà davvero dura. La cosa peggiore è superare gli atteggiamenti di certi “esperti” che solo sulla base di loro esperienze personali, non supportate da alcuno studio scientifico degno di questo nome, straparlano di “approcci eticamente sostenibili e senza alcun disturbo”. Insomma, il problema è quello che si potrebbe definire “fuoco amico” in una battaglia che, sul principio di precauzione, dovrebbe vederci schierati tutti dalla stessa parte, quella dell’orso marsicano, e che invece vede schierati gruppi modello tifoseria calcistica che ovviamente non fanno certo il bene dell’orso».
Talvolta anche il rapporto con i fotografi naturalistici può diventare un problema. Come si comporta il Parco per stimolare una fotografia etica?
«Purtroppo, come spesso accade, le cattive abitudini di alcuni possono rovinare tutta la categoria. Non abbiamo mai generalizzato, però quello che è successo con Amarena spero sia di esempio per tutti affinché non si ripetano episodi analoghi. Purtroppo siamo ancora lontani da condizioni ideali come è emerso anche nel periodo autunnale con la “caccia fotografica ai cervi in amore”. Il Parco ha promosso una campagna di comunicazione e sensibilizzazione specifica, fatto incontri e avviato una sorta di percorso comune in occasione di workshop fotografici, prevedendo un incontro iniziale dei partecipanti ai workshop con i biologi e i responsabili della comunicazione del Parco per parlare del disturbo. In aggiunta a questo abbiamo condiviso, con tutti gli organizzatori, l’opportunità che alle giornate di formazione svolte sul campo partecipino anche i nostri guardiaparco per collaborare con i responsabili delle attività a far meglio comprendere i concetti di disturbo e stress, di etica della fotografia naturalistica e di rispetto degli spazi della fauna. È stato uno sforzo importante che però ha trovato il pieno accoglimento e apprezzamento di tutti e che sicuramente ha avvicinato le persone ai temi della conservazione».
La comunità locale ha compreso l’importanza del ruolo dei grandi carnivori, anche se la loro presenza comporta qualche sacrificio in più e attenzioni maggiori?
«Sì, molto chiaramente, anche se ovviamente non mancano comunque soggetti che continuano ad anteporre interessi personali a quelli collettivi e che, nonostante il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise abbia un sistema di indennizzi assolutamente efficiente, riconoscendo valori economici adeguati ai vari capi di bestiame e pagando in tempi rapidi (in media 61 giorni tra la denuncia del danno e i soldi in mano ai danneggiati), continuano a lamentare problemi nel loro rapporto con i grandi carnivori. Abbiamo un settore del nostro territorio in cui si continua a mettere in discussione la presenza del lupo, a fronte però di forme di allevamento brado e senza il minimo rispetto delle norme comunitarie in materia tracciabilità delle riproduzioni e del benessere animale. Insomma, va meglio, ma c’è ancora da lavorare».
Il Parco custodisce due endemismi importanti: orso e camoscio. Qual è il loro stato di conservazione e sono previste azioni per estendere il loro areale di diffusione?
«Le due popolazioni stanno registrando entrambe delle crescite numeriche in termini assoluti come dimostra ad esempio il camoscio, con incrementi significativi soprattutto nel gruppo del Marsicano e della Montagna Grande, evidenziando come le azioni di tutela del territorio sono premianti e funzionali nel medio e lungo termine perché la Natura ha i suoi tempi. I dati dell’orso sono quelli riportati nel rapporto 2019, in cui non si può non evidenziare il numero di nati negli ultimi 4 anni, 50 esemplari! Il che testimonia la grande vitalità di questa popolazione, che sta inoltre pian piano riconquistando spazi importanti fuori dal PNALM, confermando anche in questo caso l’importanza di avere una rete di aree protette sul territorio che assicurano all’orso territori in cui insediarsi stabilmente, come si stanno dimostrando il Parco Nazionale della Maiella e la Riserva Naturale Regionale del Monte Genzana.
Restano ovviamente molti problemi di mortalità, quasi tutti di origine antropica, nel cui merito però dovremmo fare delle riflessioni un po’ più attente per provare a risolverle davvero. Il bracconaggio, che per tanti decenni ha flagellato questa popolazione così come ora continua a massacrare il povero lupo, sull’orso ha meno incidenza. Questo grazie ad una presa di coscienza importante da parte del mondo venatorio che anzi, sempre più spesso, si rende disponibile ad importanti iniziative di tutela, seppure con azioni locali mirate. Resta da fare un ultimo salto di qualità sull’attività venatoria ma penso che i tempi siano maturi e presto ci arriveremo. Tutt’altro discorso per i problemi derivanti dal rapporto con il settore zootecnico, in particolare le grandi mandrie di vacche e cavalli che nel territorio dell’orso, e non solo, hanno sostituito quasi completamente le greggi di ovini. È fuori discussione che questo tipo di zootecnia abbia un impatto molto più pesante sugli habitat, la cui qualità mediamente è molto peggiore rispetto ad alcuni decenni fa, sia per l’incidenza del pascolo, quasi sempre brado o semibrado e per periodi molti maggiori durante l’anno, sia per la totale mancanza di interventi di miglioramento, che invece erano obbligatori ai tempi dei “pecorai”. Senza dimenticare che vacche e cavalli comportano, soprattutto per l’orso, altri due problemi: la diffusione di zoonosi, nel cui merito tutti i servizi veterinari regionali sono chiamati ad un controllo più attento e diffuso di quanto non accada, e la presenza di sacche di territorio in cui l’uso di esche e bocconi avvelenati, quasi sempre contro il lupo, rappresentano un pericolo costante per l’orso.
Infine, quanto ai problemi di mortalità da incidenti stradali, responsabili delle due morti di orso nel 2019, è chiaro che si tratta di un problema strutturale legato da un lato alla rete viaria, quasi sempre carente di misure adeguate a favorire lo spostamento della fauna, e dall’altro al fatto che sempre più animali si muovono dalla popolazione sorgente verso altre aree in cerca di nuovi spazi da colonizzare. In tal senso va dato atto della disponibilità di ANAS con cui abbiamo iniziato a lavorare in modo coordinato su progetti specifici».
Qual è lo stato dell’arte dei corridoi faunistici, indispensabili per garantire la mobilità delle specie nei territori circostanti?
«Ci stiamo lavorando molto, soprattutto grazie alla Rete di Monitoraggio Orso Abruzzo e Molise da un lato e Lazio dall’altro. Negli ultimi due anni abbiamo raccolto dati molto importanti e informazioni significative e contiamo di averne anche dalla prossima campagna di monitoraggio orsi con radiocollare. Determinante in ogni caso da questo punto di vista credo sia il ruolo delle aree della Rete Natura 2000, che ora hanno dei piani di gestione e la cui funzione nel garantire aree idonee è assolutamente centrale.
Certo bene sarebbe anche su questi discorsi essere tutti dalla stessa parte e condividere il fatto che la conservazione dell’orso marsicano passa per una popolazione vitale diffusa sulle tante aree dell’Appennino in grado di assicurare spazi idonei e collegati tra loro in modo da consentire gli spostamenti dei soggetti. Altre ipotesi temo saranno perdenti».
Le zone di rispetto poste al limite dei confini del Parco possono essere in qualche modo regolate dall’Ente Parco e sono sufficienti a garantire la protezione della fauna del Parco?
«Al momento continuiamo con le norme previste dalla vecchia Zona di Protezione Esterna, grazie alla quale si riesce a limitare l’impatto dell’attività venatoria con regole dedicate. Stiamo lavorando però per l’approvazione dell’Area Contigua nel versante laziale, che contiamo di finalizzare a breve, in modo da portare a conclusione l’iter per l’approvazione definitiva così da adottare quanto previsto dalla 394/91. Altro aspetto determinante è legato al Piano del Parco, di cui abbiamo riavviato l’iter per l’approvazione grazie alla disponibilità della Regione Abruzzo, capofila nel processo della VAS, e ovviamente delle regioni Lazio e Molise, avendo come obiettivo il 2022 per regalare al Parco, in occasione del suo centenario, finalmente il Piano e il Regolamento».