Da tempo gli archeologi suggeriscono l’esistenza, nel corso del Mesolitico e del Neolitico, di una barriera culturale invisibile dal Mar Nero fino alla regione del Mar Baltico. All’interno di quest’area geografica, infatti, gruppi culturalmente distinti adottavano differenti modi di vita, anche in termini di approvvigionamento di cibo.
Ora un nuovo studio internazionale – che ha visto la partecipazione della Sapienza Università di Roma e i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature – ha dimostrato, grazie all’analisi di oltre 1.600 antichi genomi umani, che tali differenze non erano solo culturali ma anche genetiche, e ha identificato in questo fenomeno l’esistenza di una barriera genetica invisibile che divideva l’Eurasia occidentale nella preistoria.
In particolare, le analisi di ossa e denti di campioni risalenti a più di 11.000 anni fa hanno confermato una differenza genetica tra le popolazioni a est di questa “grande divisione”, che mantenevano società complesse di cacciatori, pescatori e raccoglitori, e gli abitanti a ovest, che divennero gradualmente agricoltori, fino al passaggio all’Età del Bronzo, circa 4.000 anni fa, quando la “grande divisione” cominciò a diminuire.
A questi risultati i ricercatori sono arrivati grazie all’applicazione delle più recenti scoperte tecnologiche nel campo dell’estrazione e del sequenziamento del DNA.
Per mappare interi genomi da DNA antico altamente frammentato è stato infatti utilizzato un modello matematico avanzato che consente di riempire con grande precisione le lacune nei genomi antichi irregolari basandosi sull’analisi di un gran numero di genomi completi di individui attuali.
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