Nel 2019, Francesco Del Greco ha concluso il corso di Laurea Magistrale in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio presso l’Università degli Studi di Trento con una tesi dal titolo “Utilizzo del modello della Bow Valley per migliorare la convivenza uomo-fauna selvatica in Trentino per mezzo delle infrastrutture di attraversamento”.
Per realizzare il suo lavoro di tesi Francesco ha trascorso alcuni mesi proprio nella Bow Valley, dove ha lavorato al programma WildSmart del Biosphere Institute e sulle strutture di attraversamento con Parks Canada ed Alberta Parks. Durante la sua permanenza in Canada ha avuto modo di collaborare con l’esperto in materia Mike Gibeau, con il biologo della fauna selvatica e partner di ricerca Y2Y, Tony Clevenger che si occupa di ecologia applicata alle infrastrutture, con Nick de Ruyter direttore del programma WildSmart e con Cheryl Hojnowski direttrice del Bioshpere Institute.
Intervista di Catia Baldassarri
Francesco, nell’ambito della tua tesi di laurea ti sei occupato della progettazione delle infrastrutture per mantenere in movimento la fauna selvatica. Di cosa si tratta?
«Si tratta essenzialmente di sovrappassi o sottopassi che vengono utilizzati dalla fauna selvatica. Per gli animali è molto importante potersi muovere all’interno e attraverso grandi habitat. Trovare modi per consentire questo movimento e ridurre i conflitti lungo il percorso è vitale per la loro sopravvivenza. Una delle cose più interessanti che ho imparato è che ci sono molti fattori che possono rendere le strutture efficienti o meno. Ad esempio, è fondamentale scegliere la giusta struttura di attraversamento in funzione della specie che la utilizzerà ed implementare il progetto con altre misure di mitigazione come recinzioni e jump-out. Queste strutture sono molto importanti quindi anche per la riduzione degli incidenti stradali che causano a volte feriti e in alcuni casi sporadici decessi».
Cos’è che ti ha spinto ad andare in Canada per studiare questo tema e realizzare la tua tesi di laurea?
«A fare accendere la scintilla è stato il film “Living with wildlife” di Leanne Allison. È un documentario che parla di una complessa rete di azioni e dall’impegno che è stato profuso dalla comunità della Bow Valley per rendere possibile la coesistenza con la fauna selvatica che lì va dagli erbivori quali bisonti, elk, alci, cervi ai grandi predatori quali orso, lupo, coyote e puma».
Cosa ti ha colpito in particolare quando hai visto il film?
«La profonda conoscenza e il rispetto che le persone locali avevano nei confronti della fauna e che questo spesso si tramutava nella libertà degli animali selvatici nel muoversi vicino alle case della cittadina. Poi quando ho vissuto lì a Banff ho potuto sperimentare tutto questo direttamente. Più di una volta rincasando la sera dal laboratorio mi sono trovato faccia a faccia con degli elk (un cervo ma più grande) che vi assicuro hanno una stazza di tutto rispetto. Dalla finestra della camera della famiglia da cui alloggiavo vedevo spesso cervi, volpi e scoiattoli. Nel paese di Banff che non conta più di 8000 abitanti sembra essersi instaurata una coesistenza tra gli uomini e gli animali».
Sembra che in un certo senso si possa dire che gli animali si siano abituati alla presenza degli uomini. Quali emozioni invece, secondo te, provano gli abitanti di Banff?
«Lì in Canada gli animali conoscono molto bene l’uomo, anzi forse a livello genetico loro ci conoscono meglio di quanto noi conosciamo loro. Le persone locali considerano gli animali semplicemente parte integrante dell’ambiente che li circonda e sentendo un grande senso di rispetto verso l’ambiente, dimostrano un grande senso di rispetto verso gli animali. Questo si tramuta anche nel cercare di allontanare gli animali dai centri abitati, per il bene di entrambi. Il fatto che gli animali si siano abituati alla presenza degli uomini potrebbe metterli in grave rischio. C’è un grande lavoro di informazione e di comunicazione che viene fatto con la cittadinanza. Nel programma WildSmart organizzato dal Biosphere Institute of the Bow Valley ci sono laboratori con le scuole e con i ragazzi a partire anche dai giovanissimi. Ho seguito ad esempio uno dei laboratori in cui un educatore era vestito con un costume da orso e venivano simulate tutte le possibili situazioni di incontro ravvicinato. I bambini con questa esperienza molto immersiva, sin da piccoli, riescono ad acquisire degli strumenti che gli permettono di controllare la paura. Il programma di educazione e sensibilizzazione coinvolge tutta la cittadinanza incluse le persone che si trasferiscono a Banff da altre città e lo staff degli alberghi che ospitano i numerosi turisti che visitano il parco attratti, non solo dalla sua bellezze naturali, ma anche delle soluzioni di coesistenza con la fauna selvatica messe in atto».
Hai fatto cenno alla paura. Su questo sentimento che abbiamo dentro di noi fa spesso leva una certa stampa che punta al sensazionalismo. Io credo che la paura da un lato vada legittimata nel senso che ci salva da situazioni di reale pericolo dall’altra solo con la conoscenza credo che si possa evitare che sfoci in un’ansia paralizzante e controproducente. Come viene gestito secondo te questo tema lì? Che tipo di comunicazione viene fatta?
«Il loro modello comunicativo è ben collaudato: dagli avvisi giornalieri pubblicati su varie piattaforme (presenza di animali di grossa taglia in città, incidenti, fonti di conflitto, presenza di branchi vicino i centri urbani) a veri e propri seminari educativi organizzati in funzione del pubblico o tavole rotonde. Anche la mia presenza nella Bow Valley è stata fin da subito recepita e divulgata alla comunità, infatti mi è capitato anche all’inizio della mia permanenza a Banff, quando ancora il mio inglese era piuttosto stentato, di essere invitato a partecipare ad una trasmissione radiofonica. Per loro era molto interessante che un ragazzo italiano fosse lì in Canada a studiare i loro sistemi per la coesistenza. Loro conoscono bene la realtà italiana relativamente alla coesistenza; molti esperti hanno collaborato per esempio al progetto abruzzese “Salviamo l’orso” ed altri hanno aiutato la Provincia Autonoma di Trento ad importare in Trentino i primi servizi alla coesistenza che abbiamo adesso (reti elettrificate, cestini anti orso, cani da guardianìa etc). Gli esperti canadesi osservano con ammirazione il nostro progetto di reintroduzione dell’orso comprendendo comunque le difficoltà conseguenti. Per questo hanno cercato tutti di darmi una mano in Canada: si sono riconosciuti nella situazione attuale del Trentino. Devo dire che con mia grande sorpresa poi è arrivata una intervista con la CBC, che è il servizio pubblico radiotelevisivo nazionale, un paio di interviste con i giornali o blog locali e una conferenza pubblica. Direi che l’approccio prevalente è quello scientifico e l’Italia è ancora ritenuta all’avanguardia da questo punto di vista.
Come ti dicevo prima, alla comunicazione sui media si affianca un lavoro metodico di educazione. Li si insegna anche ad usare lo spray anti-orso anche ai bambini non tanto perché venga utilizzato, in quanto molto rare sono le situazioni di reale necessità, quanto piuttosto perché dà una sensazione di sicurezza che permette di gestire con maggiore tranquillità una possibile situazione di pericolo».
Puoi fare qualche esempio di altre azioni messe in campo nella Bow Valley per la gestione della fauna?
«Ad esempio ci sono i cassonetti con maniglia tale da non poter essere aperti dall’orso anche in città e che all’inizio ho fatto fatica io stesso ad aprire, i ranger avvisano runner e turisti in modo che possano evitare un certo sentiero nel momento in cui viene avvistato un orso, Parks Canada quotidianamente pubblica su una pagina web dedicata gli eventuali spostamenti di branchi o animali potenzialmente pericolosi e aree di parchi vengono completamente chiuse al pubblico in funzione di certe attività della fauna (stagione degli amori, stagione dei cuccioli, branchi che si sfamano etc). C’è poi un numero di telefono messo a disposizione dei cittadini per richiedere l’intervento in caso di incontro in ambiente urbano di animali che mostrano un comportamento ostile».
Del documentario mi ha molto colpito che la municipalità provvede a sostituire nei giardini privati certi alberi da frutto con alberi puramente ornamentali. E i proprietari sembrano esserne contenti. Come si arriva secondo te a questo livello di accettazione?
«Se ne percepisce il vantaggio sia per l’uomo e sia per la fauna. Nella Bow Valley la presenza della fauna in città viene sempre scoraggiata poiché non è comunque naturale e può essere comunque fonte di conflitto».
Quali differenze e quali aspetti simili ci sono tra la Bow Valley e alcune realtà italiane come ad esempio l’Abruzzo o il Trentino dove ci sono orsi o tutto l’arco alpino dove si sta assistendo al ritorno sempre più pervasivo del lupo?
«Secondo me ci sono tante differenze ma anche tanti aspetti simili. Per quanto riguarda gli aspetti simili, per esempio, in entrambi i posti si possono individuare corridoi ecologici di piccola e grande scala. Parlando delle differenze sicuramente il Canada ha degli spazi enormi ad elevata naturalità mentre il nostro territorio è molto più antropizzato e frammentato ma in entrambi i casi il problema di gestire la fauna selvatica che si avvicina ai centri abitati è il medesimo. Certamente il territorio trentino presenta molti più frutteti e campi rispetto al Canada ma questi risultano essere semplicemente i dati di input intrinseci del territorio da cui far partire la medesima analisi».
Tu sei nato e hai studiato a Trento quindi conosci nello specifico la realtà del Trentino. È possibile secondo te esportare questo modello virtuoso che è rappresentato dalla Bow Valley anche in Trentino?
«Secondo me si può fare molto per favorire la convivenza con la fauna selvatica ispirandosi al modello canadese. Molte soluzioni di gestione (cassonetti anti-orso, sovrappassi stradali) sono perfettamente realizzabili e in alcune realtà sono state già adottate soluzioni simili. Molto si può fare nella direzione dell’accettazione della coesistenza. Sicuramente dei programmi di educazione e sensibilizzazione sono auspicabili e portano nel tempo all’attenuazione dei conflitti e soprattutto ad una maggiore consapevolezza del territorio che ci circonda».