Dopo la confusione di ipotesi sull’origine del Coronavirus Covid-19 che per qualcuno, compreso il discusso premio Nobel Luc Montagnier, sarebbe stato creato artificialmente in un laboratorio e da qui poi casualmente sfuggito per errore, oppure, secondo altri, addirittura diffuso volontariamente… oggi, finalmente, dopo mesi dalla scoperta e dall’inizio dell’infezione del nuovo virus, si può fare un po’ di chiarezza.
Si leggono approfonditi articoli scientifici o divulgativi che chiariscono un fatto sicuro: numerosi virus di questo tipo esistono in natura e possono essere trasmessi dagli animali selvatici all’uomo. Virologi di tutto il mondo sono impegnati nello studio del Covid-19; lo scopo, naturalmente, è quello di cercare armi per combattere la “pandemia” causata dai deleteri effetti di questo virus sull’uomo e per la quale sicuramente il 2020 passerà alla storia.
Ma insieme alle soluzioni trovate da questi studi scientifici e insieme alle proposte derivate dagli studi di tipo economico per salvare i sistemi produttivi fermati dalla pandemia e sui quali si basa la sopravvivenza degli Stati di tutto il mondo, occorre fare delle riflessioni di tipo culturale affinché vengano ostacolate, in modo sicuro, future occasioni che possano mettere a rischio la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra.
Non bastavano il cambiamento climatico, l’inquinamento, la distruzione degli equilibri ecologici, l’antropizzazione devastante di ogni ecosistema naturale e, “last but not least”, gli arsenali e i depositi militari colmi di armi nucleari in quantità tali che un incidente imprevisto, come lo è la diffusione di un virus, provocherebbe la probabile distruzione di ogni forma di vita terrestre.
Una spada di Damocle
Finora siamo riusciti ad affrontare tutte queste emergenze, anche se con danni economico-sociali e mortalità impressionanti, ma quest’ultima esperienza pandemica dimostra che non possiamo rischiare di vivere sotto l’incubo di una “spada di Damocle”: che, cioè, circa ogni dieci-venti anni si sviluppi nella popolazione mondiale un nuovo tipo di infezione (microbica, virale o altro).
Analizzando solo i principali eventi epidemici degli ultimi decenni possiamo annoverare:
- l’influenza detta Asiatica (1957)
- la febbre di Hong Kong del 1968, che causò 1 milione di morti
- l’influenza aviaria (monitorata dal 1997 al 2005) partita da Hong Kong e dai paesi dell’Asia orientale come Corea, Vietnam, Cambogia, ecc…
- la SARS (acronimo di Sindrome Respiratoria Acuta Grave), una forma atipica di polmonite causata dal virus SARS-CoV-2, apparsa per la prima volta nel novembre 2002 nella citta di Foshan, provincia del Guangdong (Canton) in Cina. Anche grazie agli sforzi di Carlo Urbani, il medico italiano che per primo individuò il virus, la SARS venne contenuta e provocò circa 7.000 casi con 773 vittime in una trentina di Paesi.
A questo proposito, nel 2002 Gro Harlem Brundtland, direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, fece una dichiarazione che, alla luce dei fatti attuali, sembra profetica: «Questo non segna la fine della SARS oggi, ma prendiamo atto di un importante risultato: l’epidemia di SARS globale è stata contenuta […] dovremo fermarci per ringraziare gli scienziati, gli operatori sanitari e ospedalieri […]. La SARS è un monito che ha spinto anche i più avanzati sistemi sanitari pubblici verso un punto critico. Queste protezioni hanno tenuto, ma solo a mala pena. La prossima volta, potremmo non essere così fortunati». E così è stato con l’insorgenza del Covid-19.
Uno studio condotto in Cina ha messo in evidenza la presenza di coronavirus geneticamente correlati a quelli della Sars in almeno due specie di mammiferi e specialmente in uno zibetto, la civetta mascherata delle palme (Paguma larvata). Questo piccolo carnivoro è una delle tante specie che normalmente compaiono nei cosiddetti “wet market” orientali poiché è una della tante specie selvatiche che, vive, passano direttamente dalle foreste, ai mercati e infine cucinati, sulle mense delle case cinesi.
Dopo il calo dei contagi, la Cina ha riaperto i wet market
Occorrono uno stomaco forte e una coscienza poco sensibile per poter sopportare le immagini degli animali messi in vendita nei wet market, diffusi anche in altri Paesi dell’estremo oriente (Birmania, Cambogia, Laos, Vietnam, ecc.). La cultura gastronomica orientale, basata sul “tutto ciò che si muove può essere fonte di cibo”, richiede spesso l’acquisto di animali vivi, uccisi solo poco prima di essere cucinati; vengono scelti dall’acquirente che frequenta questi mercati, un dedalo di bancarelle stracolme di animali, dove le condizioni igienico sanitarie sono a dir poco rischiose.
Lo spettacolo delle povere bestie qui detenute è raccapricciante: serpenti spellati ancora vivi, gatti selvatici e scimmiette, spesso cuccioli di specie protette e in via di estinzione, detenuti in gabbie dove non si possono muovere e incrostati con i propri escrementi, piccoli cervidi (Muntjak) con le sottili zampe spezzate con osso a vista, cuccioli di cane ammassati uno sopra l’altro e rinchiusi in gabbie per canarini, decine di polli legati insieme per una zampa ed appesi a testa in giù per tutto il giorno, secchi stracolmi di testuggini e tartarughe che cercano di non soffocare dentro un liquido maleodorante costituito per la maggior parte dalle proprie deiezioni…, tutti animali considerati solo alla stregua di carne da macello e per i quali l’acquisto e la successiva morte sono solo una liberazione da inenarrabili sofferenze sia fisiche che psichiche.
Così, se la civetta mascherata delle palme è stata il vettore della SARS nel 2002, oggi gli studi sul genoma del Covid-19 confermano che il virus è simile per il 96,2% a quello riscontrato in alcuni pipistrelli, e per il 91,02% a quello riscontrato nei pangolini orientali (Manis javanica), mammiferi ricoperti di scaglie; seconde le ipotesi più accreditate sarebbero dunque i pangolini i vettori che hanno trasmesso all’uomo il virus, visto che questi animali vengono utilizzati sia nella gastronomia, sia nella farmacopea (medicina tradizionale) orientale e sono spesso venduti nei wet market, nonostante il loro commercio sia vietato dalla legge cinese.
Si pensa che la mancanza dei pangolini nell’elenco delle specie vendute sul wet market della città di Wuhan sia proprio da ricercarsi nel divieto di commercializzazione della specie, ma che in realtà essi vengano normalmente venduti sottobanco da mercanti fuorilegge, come fotografato da chi denuncia questi abusi. Gli animali selvatici, potenziali vettori di innumerevoli virus, giungono in questi mercati direttamente dalle foreste dove sono stati catturati (spesso da bracconieri senza scrupoli) e venduti senza avere passato ne periodi di quarantena preventiva, né tantomeno visite veterinarie.
La Cina è una nazione che ha fatto molto per la salvaguardia della natura e ha investito molte risorse economiche, per esempio, per istituire aree dove proteggere e allevare il panda maggiore e fondare un centro specializzato, noto in tutto il mondo, per la sua riproduzione e conservazione, a Wolong.
I professori Li Zhang e Lu Zhi dell’università cinese di Beijing (Pechino) sono due tra i più conosciuti e apprezzati biologi conservazionisti cinesi nel mondo; essi ritengono che il pangolino sia il vettore del COVID-19 e propongono la chiusura in tutta la Cina dei wet market, chiusura auspicabile, che però non appare essere efficace a causa della forte richiesta di specie selvatiche per la recente moda “yewei” delle nuove classi agiate cinesi, le quali amano gustare i sapori della selvaggina, abitudine che alimenta un diffuso commercio soprattutto illegale.
Fortunatamente il governo cinese ha emesso una nuova legge secondo cui, dal 1 maggio, cani e gatti non sono più considerati animali da allevamento per scopo alimentare, ma solo da compagnia, vietandone così il consumo delle carni; purtroppo, però, la legislazione cinese è fortemente influenzata da un giro di affari da più di 18 milioni di dollari, che coinvolge 16 milioni di lavoratori e che ruotano intorno al commercio di animali selvatici, non solo per scopo alimentare ma anche per il loro uso nella medicina tradizionale cinese.
Si può firmare la petizione per la chiusura dei wet market sul sito di Animal Equality
Non perdere le altre puntate dell’inchiesta:
- Il Covid-19, la fauna selvatica e il “benessere animale”
- La farmacopea o medicina tradizionale cinese e gli animali (in programmazione)
- Culture orientali e occidentali (in programmazione)
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