Puntuale come ogni anno, anche in questo 2020, nei tavoli della Regione Sardegna ci si trova a discutere della gestione della Posidonia oceanica spiaggiata. Quest’ultima, erroneamente chiamata alga, è una pianta marina, con apparato radicale, fusto e foglie e, a dispetto del nome, è una specie endemica del Mar Mediterraneo.
La posidonia crea delle autentiche praterie sommerse al cui interno si instaurano delle complesse associazioni di organismi animali e vegetali. La sua importanza ecologica va oltre l’indispensabile produzione di ossigeno e la sua presenza è un forte indicatore di biodiversità.
Fin qui niente di strano; le criticità si fanno tangibili quando le foglie della posidonia vanno incontro a un ricambio stagionale. Quelle che vengono accumulate sui litorali sono proprio le foglie, che per parallelismo potremmo osservare come l’analogo marino di un sottobosco autunnale, ma sono sicuro che molti definiranno questa premessa un inutile tecnicismo.
Sporcizia o ricchezza?
Il problema, che sembra minare il turismo estivo in modo devastante, è legato alla scarsa propensione dei visitatori a sostare su quella che molti definiscono “sporcizia”.
La soluzione apparentemente più semplice, che sembra trovare il plauso della maggioranza grazie all’ultima proposta di legge, è la rimozione meccanica della posidonia, che sebbene comporti una innegabile spesa per gli operatori del settore, viene vista come l’insostituibile compromesso per non lasciare la spiaggia “sporca”.
Dopo aver proposto per decenni le cartoline di una Sardegna immaginaria con spiaggia bianchissima e immacolata, appare difficile spiegare che quella stessa isola risponde a un ecosistema naturale con dinamiche complesse e mutevoli nel corso delle stagioni.
Nei volantini informativi, il mare è sempre azzurro, la spiaggia sempre bianca e la pioggia sembra non esistere. E mancano gli stabilimenti balneari con la musica a tutto volume, anche se questo sembra essere un aspetto marginale.
In caso di rimozione
Ma in fin dei conti cosa comporta la rimozione di queste foglie? Volendo ragionare in termini puramente egoistici, almeno in via ipotetica, dovremmo eliminare l’ecosistema dalla nostra equazione e convincerci che quel detrito non sia in grado di alimentare altri organismi viventi, spesso così piccoli da non essere visti, figuriamoci rispettati!
Quello che rimane è una spiaggia nuda e fragile, priva della protezione di quegli orribili ma indispensabili accumuli di “alghe”, pronta ad essere erosa a un ritmo sempre più accelerato dalle mareggiate.
Una spiaggia compattata dai mezzi meccanici, che inevitabilmente porteranno via una parte di sabbia insieme alle foglie, mentre noi continueremo a scuotere affannosamente i nostri teli da mare per non portare a casa neanche un granello. Una spiaggia che, nel giro di qualche decennio, ammesso che esista ancora, potrebbe non piacere più a nessuno.
Se la natura fa il suo corso
Proviamo ora a fare un passo indietro e per pura follia analizzare l’ipotesi della non azione.
Se invece decidiamo di fare un passo indietro e lasciamo che le foglie della posidonia restino dove quella natura incontaminata che tutti amiamo le vorrebbe, otterremmo tre risultati: un innegabile immediato risparmio economico, un investimento a lungo termine nella tutela dei litorali e, probabilmente, l’apertura verso un turismo consapevole e rispettoso dell’ambiente, vera ricchezza e attrattore economico dell’Isola.
Il modesto sforzo comunicativo e il rinnovamento di qualche cartolina che tale scelta comporta, sarebbero ampiamente compensati dalla promessa di un litorale sempre fruibile negli anni a venire. Per adesso, stando alla legge, dovremmo ancora rimanere immobili a osservare pesanti mezzi meccanici che spostano foglie e sabbia.
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