Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
(….)
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
Negli anni in cui Dante Alighieri (1265-1321) scrive la Divina Commedia raccontando di visitare il mondo dell’aldilà, i libri detti “bestiari medievali” raccoglievano immagini di animali più o meno conosciuti e a ognuno davano un valore allegorico o simbolico legato alla religione o alla morale del tempo.
I tre animali che Dante incontra nella foresta sono ognuno un simbolo di un peccato o di un vizio che il poeta temeva come proprio difetto: il leone simboleggia la superbia, la lupa l’avarizia e la lonza la lussuria.
Ma dal punto di vista scientifico-naturalistico noi ci chiediamo quale specie di felino rappresentasse la “lonza” dato che oggi il termine non rappresenta più nessun felino.
Letteralmente pare che la parola “lonza” derivi da “lince” e quasi tutti accettano questa interpretazione.
Ma secondo noi, e secondo alcuni illustri critici dell’opera di Dante come Gianfranco Contini, molte cose non tornano. Infatti, la lince è un felino a coda corta e pelo non molto maculato, mentre la lonza di Dante è molto maculata, tanto che a un certo punto viene definita di ”pel macolato” e poi “dalla gaetta pelle”, e gaetta è termine antico che sta per “fittamente macchiettato”.
Anche la definizione di “presta molto”, cioè molto veloce, ci fa ritenere che la lonza fosse in realtà un ghepardo e precisamente un ghepardo della sottospecie asiatica (Acinonyx jubatus venaticus) che, anche prima dei tempi di Dante, veniva addestrato per la caccia in India e in Persia e in tutto il Medio Oriente poiché, essendo il mammifero più veloce, poteva rincorrere anche le prede più agili (dalle lepri alle gazzelle).
Inoltre, al contrario della lince, si tratta di una specie che si lascia facilmente addomesticare. È già presente nell’antico Egitto, dove lo vediamo riprodotto al guinzaglio, poi in oriente e, quindi, lo ritroviamo anche in alcune nobili corti italiane.
Basta guardare le illustrazioni dei pittori e dei miniaturisti dell’epoca di Dante e si capisce benissimo che l’animale rappresentato come “lonza” ha tutte le caratteristiche del ghepardo: coda lunga, pelo fittamente maculato, ventre da levriero.
Quindi, questa specie era molto ben conosciuta e i pittori italiani la poterono osservare con cura in cattività, nei serragli e tra gli animali tenuti per la caccia; per questo furono in grado di ben riprodurlo, tanto che spesso l’animale viene rappresentato con al collo un guinzaglio e tenuto da una corda come i cani domestici da caccia.
In un’illustrazione di Giovannino de Grassi (1350-1398) si vedono benissimo le unghie non retrattili tipiche di questo felino. Al Musèe del Louvre di Parigi sono conservati molti acquerelli del Pisanello (Antonio di Puccio Pisano circa 1390-1455) che ritraggono molti animali fra cui uno splendido ghepardo con collare da guinzaglio.
Nel XVI Canto dell’Inferno Dante scrive poi:
‘Io avea una corda intorno cinta,
e con essa pensai alcuna volta
prender la lonza a la pelle dipinta
Ciò sta a significare che anche Dante aveva visto ghepardi addomesticati tenuti legati a una corda, cosa molto difficile da fare con una lince, felino dal carattere più ribelle.