Le jacarande in fiore fanno apparire la cementificata Harare come una delle città più affascinanti di tutto il continente africano. Ogni viale, corso, piazza sono un’esplosione di vita e di colore. Tra le foglie violacee spuntano i grattacieli del centro, inaspettatamente ordinati e scintillanti.
I marciapiedi sono un brulicare di personaggi dagli stili infiniti e spesso indefinibili. Dal manager in giacca e cravatta e scarpe lucide come specchi al rapper in tuta da ginnastica oversize, dalla donna in abiti tradizionali che porta sulla testa una bacinella piena di biancheria alla segretaria in minigonna in pelle rossa e tacchi a spillo.
Partito in mattinata da Bulawayo ho deciso di fermarmi una notte nella capitale dello Zimbabwe prima di abbandonare la civiltà e immergermi nella natura selvaggia dei Parchi all’estremo nord del Paese.
I prossimi giorni li trascorrerò nel Mana Pool National Park, al confine con lo Zambia. Ho conosciuto il Mana Pool grazie al libro “Dalla parte degli animali” di Dick Pitman, ex giornalista e funzionario delle aree protette dello Zimbabwe.
Dopo trent’anni di lavoro, svolti a bordo del suo fedele “elefante bianco” (un vecchio Land Rover Defender), l’autore parla del Mana Pool come il suo Parco preferito. Le sue descrizioni entusiasmanti rappresentano per me una ragione più che valida per deviare di diverse centinaia di chilometri dall’itinerario inizialmente previsto.
Parto alle prime luci dell’alba ancora inconsapevole di cosa mi attende lungo il cammino. Sulla strada che collega Harare a Lusaka (capitale dello Zambia), vengo fermato decine di volte dalla polizia locale che fa il possibile per indurmi a corromperli con qualche dollaro per lasciarmi proseguire. Le scuse sono sempre le stesse e prive di alcun fondamento, ma il loro scopo è quello di farmi perdere tempo e pazienza. Conosco bene ogni strategia e ho imparato che da queste parti i tempi di percorrenza non si calcolano in chilometri, ma in dosi di pazienza.
All’ultimo posto di blocco della giornata, quando sono ormai pronto a iniziare nuovamente la solita discussione, vengo colto di sorpresa dal poliziotto di turno che non mi chiede nulla, nemmeno la patente. Si avvicina, mi dice di non scendere e di abbassare tutti i finestrini. Poi estrae dalla tasca una bomboletta e riempie l’abitacolo di un puzzolente DDT. Mi sento soffocare, porto le mani alla bocca e inizio a tossire mentre lui si allontana dicendo che ora posso chiudere i finestrini e ripartire.
Gli rispondo che difficilmente potrò ripartire a causa del fatto che, con ogni probabilità, quelli saranno gli ultimi istanti della mia vita. Dice di non preoccuparmi perché si tratta di un veleno mortale solo per la mosca tse-tse, poi mi urla di ripartire perché blocco il traffico e si dirige verso l’auto alle mie spalle. Spalanco i finestrini e riparto tenendo davanti alla bocca lo straccio che uso solitamente per pulire il parabrezza.
Percorro ancora alcuni chilometri di strada asfaltata e, sorprendentemente ancora vivo, imbocco la deviazione verso destra per il Mana Pool. La strada è sterrata e presenta il classico fondo toul ondulé (piccole buche ravvicinate).
Se si procede troppo lentamente si accusa ogni singolo colpo del terreno con la sensazione che l’auto stia per sbriciolarsi, se la velocità è troppo elevata si rischia di perdere il controllo del mezzo alla prima curva.
A degna conclusione di un trasferimento che sembra non finire mai, vengo abbandonato dal pneumatico posteriore sinistro che esplode lanciando pezzi neri in ogni direzione. A causa di un serraggio scriteriato dei bulloni da parte dell’ultimo commista intervenuto sull’auto, si spezza anche la chiave delle ruote nel tentativo di smontarle. Per l’ennesima volta devo affidami a tutta la mia pazienza e attendere che arrivi qualcuno in grado di aiutarmi.
L’ospite inatteso al Mana Pool
Arrivo al gate d’entrata pochi istanti prima della chiusura e mi dirigo frettolosamente presso l’ufficio registrazioni. L’entrata è sbarrata dalla presenza di un immenso elefante solitario intento a mangiare le foglie dell’albero che sovrasta il piccolo edificio.
Mi fermo, sono perplesso, mi guardo intorno. Metto in moto e mi dirigo verso due guardie che chiacchierano sulla strada. Scendo, mi avvicino, saluto e spiego che sono arrivato tardi causa un problema a una ruota e che devo ancora fare la registrazione in ufficio per accedere al campeggio ma l’entrata è bloccata da un elefante.
Uno dei due rivolge lo sguardo verso l’elefante e mi chiede: “intendi quell’elefante?”. Gli rispondo: “certo, quello incollato all’ufficio” e lui dice: “non ti preoccupare, è lontano per impensierirti…”. Gli faccio notare che si trova a non più di due metri dall’entrata, ma lui dice ancora una vota che non ci sono problemi. Quindi gli chiedo se è domestico e lui mi spiega che tutti gli animali del Mana Pool non sono pericolosi per l’uomo perché non sono mai stati cacciati. Non hanno quindi alcun timore degli esseri umani e per questa ragione è uno dei tre parchi di tutta l’Africa dove è possibile uscire dalle auto di fronte agli animali per guardarli e fotografarli.
Si tratta di un dettaglio che mi era sfuggito e che mi trova spiazzato. Gli dico che mi fido di lui e che se mi assicura che non è uno scherzo procedo a piedi fino all’ufficio.
L’unica sua raccomandazione è di passare radente al muro senza disturbare l’elefante mentre mangia, ma se voglio posso anche fermarmi di fronte a lui per guardarlo.
Arrivato al cospetto del pachiderma mi blocco per osservare ogni suo singolo movimento. Si trova a non più di due metri da me. Con la sua proboscide spoglia accuratamente i rami dell’albero dalle sue foglie. Gli elefanti non hanno una gran vista, ma gli sono troppo vicino per pensare che non mi stia guardando.
Entro in ufficio e chiedo al funzionario se conosce quell’elefante e se è stanziale nel loro giardino. Lui lo guarda attraverso i vetri e mi risponde che lo conosce bene, ma che è uno dei tanti che gironzolano nel campeggio.
Una notte movimentata
Dopo aver cenato, monto a terra una piccola tenda a igloo. La utilizzerò per le restanti notti in alternativa all’air camping che prevede lunghe e noiose perdite di tempo mattutine per richiuderlo prima di partire.
A notte fonda vengo svegliato da un rumore sordo e cadenzato che continua a spostarsi intorno a me. Sollevo la minuscola veranda e con la torcia illumino la bocca molliccia e tondeggiante di un ippopotamo che, a pochi centimetri dalla tenda, sembra essere impegnato a fare opera di giardinaggio. Mi paralizzo, so bene quanto siano irascibili e poco socievoli gli ippopotami. Poi ripenso alle parole della guardia e all’esperienza con l’elefante di fronte all’ufficio. Mi tranquillizzo, guardo ancora una volta la sua bocca immensa, che intanto si è allontanata leggermente, poi mi giro sul lato opposto e riprendo sonno.
Il mattino si presenta con un’atmosfera mistica e fiabesca. Una bruma sottile e grigia invade sia il campeggio che il bosco di acacie dove pascolano sereni impala ed elefanti. Parto col fuoristrada e mi fermo a fotografarli dopo aver percorso poche centinaia di metri, intanto il sole inizia ad apparire da dietro l’orizzonte.
Dedico l’intera mattinata ad esplorare l’area nei pressi del campeggio. Soddisfatto per gli avvistamenti rientro al campeggio e preparo il mio solito irrinunciabile pranzo a base di pasta, sugo e parmigiano reggiano contrabbandato direttamente dall’Italia.
Poi mi appisolo sulla mia seggiola da regista in attesa di ripartire per il giro pomeridiano. Quando apro gli occhi trovo di fronte a me, a non più di otto meri di distanza, un bufalo maschio solitario che mi osserva immobile. Alla mia sinistra intravedo tre turisti che sulla via dei bagni si sono bloccati in attesa dell’evolversi della situazione.
Mi sento un po’ imbarazzato e dubbioso sulla mossa da fare. Avanzo lentamente sulla poltroncina per essere pronto a saltare in auto in caso di necessità. Il tempo rallenta, i secondi diventano minuti e minuti ore. Tutto resta immobile, i tre turisti sembrano statue di cera.
All’improvviso il bufalo ruota le testa verso sinistra, cioè al lato opposto dei tre turisti. Movimento che viene seguito con armoniosa lentezza dal suo corpo che finalmente accenna a un paio di passi nella direzione sperata. Attendo ancora qualche istante, poi torno a sistemarmi comodamente sulla poltroncina, mentre i tre turisti riprendono vita e si incamminano verso i bagni e, in un istante, al Mana Pool tutto torna alla normalità, almeno per il momento…
Il momento dello scatto
Avevo appena lasciato il campeggio e attirato dalla nebbiolina che si era formata mi stavo dirigendo verso il bosco. In quel momento il sole saliva oltre l’orizzonte e la luce gialla iniziava a penetrare tra gli alberi. Poco importava quale animale avrei incontrato in quel momento, ciò che contava era il contesto. Mi posizionai con l’auto prestando particolare attenzione alla striscia di luce che illuminava l’erba, alla nebbia che faceva da sfondo agli impala e soprattutto alla forma degli alberi che creavano una cornice naturale. Poi attesi che gli impala si distribuissero in modo omogeneo e armonioso. Gli animali continuavano a muoversi, e io di conseguenza spostavo l’auto alla quale avevo ancorato il mio Nikon 500 f4 con la D2x.
Avrei potuto avvicinarmi e utilizzare un’ottica più corta e maneggevole, come un 80/200 f 2,8, ma il 500 f 4 “schiaccia” ulteriormente i piani e offre uno sfocato più evidente.
Impostai i settaggi partendo da una generosa apertura di diaframma, senza esagerare (f7,1), in modo da ottenere sia un buon effetto sfocato che un’ottima resa del dettaglio. Infine sottoesposi di 1,3 stop per scurire l’immagine e creare una silhouette degli impala più evidente.
Dati tecnici
- Data: 21/09/2012
- Corpo macchina: Nikon D2x
- Obiettivo: Nikon 500/f4
- Lunghezza focale al momento dello scatto: 500 mm
- Apertura diaframma: F 7,1
- Tempo otturatore: 1/640 sec.
- Compensazione esposizione: – 1,3
- Sensibilità sensore: ISO 250
- Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)
VIAGGI FOTOGRAFICI di Davide Pianezze:
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