Tutto quello che s’immagina
per la vita più felice
in qualsiasi luogo al mondo,
essi già lo possedevano.
Per un vivere più bello
non un soldo avrebber dato,
se non fosse il lor prestigio.
Che occorreva più a loro?
Qui avevano lor corte,
quanto occorre ad esser lieti.
Loro seguito fedele
era il grande verde tiglio,
la sua ombra e pure il sole,
il ruscello e la sorgente,
fiori, erbe, fronde e foglie,
che rallegrano la vista.
Era loro servitù
il cantare degli uccelli:
l’usignolo piccolino,
tordo, merlo e molti altri
uccellini della selva;
e l’allodola e il fringuello
gareggiavano tra loro
a servirli col lor canto.
Questi servi ad ogni ora
cuore e orecchio rallegravano,
loro festa era l’amore,
che indorava la lor gioia,
con la sua magia recando
ogni giorno mille volte
con la tavola d’Artù
la sua bella compagnia.
Qual migliore cibo esiste
e per l’anima ed il corpo?
Stava un uomo con la donna
e la donna accanto all’uomo.
Che occorreva lor di più?
Quel che vogliono essi hanno,
dove vogliono essi sono.
Goffredo di Strasburgo, Tristano, vv. 16875-16912
Con il poeta Goffredo di Strasburgo andiamo indietro nel tempo, perché il suo poema più famoso risale al XIII secolo, il Tristano. Bastano questi pochi versi riportati per capire che stiamo leggendo di un’epoca lontana, in cui la ricerca dei valori fondanti la vita umana era all’ordine del giorno; i toni erano accesi, ma vivi e concreti; le difficoltà affrontate con onore e a testa alta.
La vicenda di Tristano, innamorato di Isotta tramite una pozione magica, un potentissimo filtro d’amore, è nota, ma sono i particolari di queste vicende epiche e mitologiche a scolpire nel cuore collettivo dell’umanità delle immagini perpetue, le quali potrebbero e dovrebbero alimentare ogni giorno la nostra realtà.
In particolare, i versi riportati appartengono al momento in cui i due amanti finalmente vengono lasciati liberi da re Marke di poter vivere il loro amore, infatti anziché condannarli a morte, il sovrano li manda in esilio. Ma i due innamorati non andranno molto lontano, perché addentrandosi sempre di più nella foresta, dopo un tragitto impervio, giungono presso una caverna, nota a tutti per essere la grotta degli amanti. Quale luogo migliore per poter trascorrere insieme il tempo?
Il poeta si sofferma proprio su questa cornice idilliaca, tutto è in armonia, tutto è in pace e Tristano e Isotta hanno raggiunto quella condizione invidiabile che nella nostra società nessuno più ricerca: non aver bisogno di altro che quello che si ha, non voler essere diversi da come si è, non essere da altre parti se non nel posto in cui ci si trova. In poche parole essi erano appagati, felici e non avevano desideri.
La descrizione particolareggiata della Natura vuole indicare proprio questa condizione. Nonostante la grotta sia in una selva, come albero specifico viene nominato solo il tiglio, per il semplice motivo che questa pianta simboleggia la femminilità e per gli antichi era sacra ad Afrodite; perciò, come in molti altri passi del poema, il tiglio ci ricorda la presenza dell’amore. Anche il canto degli uccellini ricorda un’armonia perduta, una pace che i due amanti però hanno ritrovato; non a caso il poeta specifica che pur essendo lei regina e lui cavaliere di corte, non avevano bisogno di servitù, cortei, feste o seguiti particolari, poiché tutto ciò veniva loro offerto dalla Natura. Capiamo bene quindi che il loro amore non poteva essere vissuto all’interno delle fredde mura di un castello né in una capanna sperduta, solamente la Natura poteva offrire il luogo ideale e i due amanti hanno gli occhi giusti per poter vedere davvero ciò che circonda loro, proprio perché amano. Non dissacrerebbero mai il terreno su cui posano i piedi.
Arrivati a questo punto potremmo portare ad oggi questo episodio ed estendere l’amore che Tristano e Isotta provano l’uno per l’altra ad un amore universale; dal momento che in effetti, quando si ama davvero qualcuno, poi amare il resto diventa quasi un passaggio spontaneo. L’invito perciò potrebbe essere quello di risvegliare in noi un amore concreto anche per ciò che ci circonda e per questa fragile umanità: se davvero siamo innamorati della Vita, avremo gli occhi adeguati, quelli del cuore, per poter vedere davvero il luogo che abitiamo, apprezzarlo, goderne, difenderlo, lottare seriamente per lui, consapevoli che non avremmo bisogno di null’altro; consci del fatto che una boccata d’aria nel bosco vicino a casa ci rianima i polmoni e che il canto degli usignoli ristora le nostre orecchie, assordate dal troppo rumore; infine, apprezzare la meraviglia che abitiamo sprona certamente ad amare, poiché dietro ad ogni germoglio che spunta in primavera, nel corso di qualunque torrente, sulle rive di qualunque mare, nel fondo di qualunque abisso e nelle intrecciate radici di una quercia, tutto manifesta l’amore. Dobbiamo accogliere l’invito, essere testimoni ed esserne concretamente felici.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com