Squilla il telefono:
«Pronto…».
«Parlo con Davide Pianezze?». «Si, sono io, con chi parlo?».
«Mi chiamo Costantino, di The Gate, ci occupiamo di campagne pubblicitarie. Abbiamo avuto il suo contatto da Nikon Italia. Stiamo cercando tre fotografi per una campagna pubblicitaria per conto dell’Ente del Turismo Norvegese, sarebbe interessato?».
È iniziato così, quattro mesi fa, il progetto promozionale che mi ha portato ad esplorare l’estremo nord della Norvegia in compagnia di altri due fotografi professionisti, Luigi Fraboni e Maria Laura Antonelli e la coordinatrice Michela La Padula.
Viaggio anomalo per me, abituato a muovermi in totale solitudine e spesso in condizioni poco agevoli dove le uniche certezze sono rappresentate dalle incognite dell’istante successivo; dove le strutture per i pernottamenti le scelgo di giorno in giorno e solitamente ben dopo il tramonto (quando la struttura dove pernottare non è la mia auto che rappresenta sempre la soluzione migliore per trovarmi all’alba di fronte agli scenari da documentare). Per non menzionare i pasti, spesso consumati con una mano sul volante e che durante i miei viaggi non sono niente altro che un optional.
Qui non ho nemmeno una ruota scoppiata da sostituire, o un poliziotto da corrompere per evitare di essere truffato da un autovelox manomesso o una dissenteria acuta causata da una tazza di tè che non aveva visto bollire l’acqua. Non fosse per l’interesse provato per il progetto, per i paesaggi straordinari incontrati e per l’affiatamento con la compagnia (che non rappresentano certamente cose di poco conto), rischierei di entrare in un profondo stato di noia mista a sensazione di inutilità personale dovuti alla mancanza di tutta quella energia che solitamente impiego per portare a termine i miei progetti personali.
Partiti da Alta, cittadina adagiata sulla costa del Mare di Norvegia ben oltre il circolo polare artico, ci stiamo spostando lentamente verso Kirkenes, al confine con la Russia. Finora abbiamo documentato principalmente le attività locali più tradizionali, come il lavoro dei cani da slitta, la transumanza delle renne, l’essicazione dello skrei (il merluzzo norvegese), la pesca in immersione dei granchi giganti e le evoluzioni con le motoslitte.
Questa mattina ci sono state consegnate tre differenti auto per renderci indipendenti, in modo da trovare spunti differenti da proporre per la campagna pubblicitaria. L’incontro è previsto in serata a Capo Nord, una delle località simbolo del Paese. Il suo Globo in ferro battuto, presente in milioni di fotografie, come tutti i simboli più tradizionali e inflazionati dal mondo dell’immagine rappresenta una sfida per ogni fotografo. Cadere nelle banalità è il rischio che si corre quando ci si trova di fronte ai soggetti più famosi.
In queste situazioni il mio approccio con il soggetto prevede solitamente un lungo corteggiamento, durante il quale mi presento disarmato di ogni attrezzatura e velleità. Purtroppo in questo caso i tempi sono dettati da un programma specifico, e piuttosto rigido, che farà coincidere il termine del photoshooting al Globo con l’imbarco inderogabile sul battello postale norvegese.
Il cielo è grigio e non vi è alcuna speranza che tra le nuvole possa filtrare un raggio di sole. Le nuvole sono sempre più basse, fino a confondersi con le chiazze di neve che ricoprono la scogliera a picco sul mare. Mi allontano dal Globo in cerca di composizioni alternative che includano il paesaggio. Tutto appare immobile, così come il pulsante d’accensione della fotocamera che continua a rimanere perentoriamente rivolto verso la scritta off. Il tempo stringe, mentre l’ansia da prestazione sale. Mancano cinque minuti alla nostra partenza quando una folata di vento mette in agitazione le nuvole. La folata si trasforma in forti raffiche che arrivano da sud. Dal cappuccio del mio giaccone arriva il rumore dei primi fiocchi di ghiaccio trasportati dal vento. Li vedo dentro l’obiettivo che ridisegnano il paesaggio. Ripenso ad uno scorcio che avevo individuato in precedenza, mentre il vento porta con sé anche la voce della coordinatrice che mi chiama ricordandomi che il battello non ci aspetterà. Faccio un paio di scatti, poi corro verso la mia auto mentre gli altri veicoli iniziano a fare manovra pronti per la partenza. Apro lo zaino, cerco il flash e lo installo sul corpo macchina mentre pulisco la lente dalle goccioline d’acqua che si sono depositate. Esco dall’auto e corro verso lo stesso punto dove avevo scattato le ultime foto fingendo di non sentire la coordinatrice che, allarmata, mi urla di lasciar stare e partire immediatamente. Il vento è sempre più forte e la neve più intensa. Mi fermo, pianto i piedi in diagonale sul terreno per essere più stabile. Accendo la macchina fotografica e accendo il flash che, a sua volta e ad ogni bagliore, accende i fiocchi di neve che rivisti sul monitor sembrano spari di proiettili. L’insieme prende vita e gli elementi di quell’istante appaiono in tutta la loro forza rendendo omaggio a quel Globo che, da lontano, testimonia la presenza umana in una delle regioni più ostili e remote del nostro vecchio continente.
Il momento dello scatto
Le folate di vento mi fecero sperare che quella situazione, tanto statica, molto grigia e poco entusiasmante, potesse mutare. E così fu: i fiocchi di neve che seguirono cambiarono completamente lo scenario.
I primi scatti realizzati, senza flash, non evidenziavano però la dinamicità di quel momento. Ripensai ad alcune foto scattate in montagna anni prima con il flash durante una nevicata. Se allora i fiocchi di neve scendevano lenti e soffici, creando un paesaggio degno del più romantico mercatino di Natale, a Capo Nord i fiocchi di neve stavano arrivando veloci come proiettili, trasformandosi in scie luminose non appena illuminati dal flash. Per mostrare il mare e evidenziare l’altezza delle scogliere avrei necessitato di un obiettivo super-grandangolare. Così decisi di portare a limite l’attrezzatura utilizzando il fisheye, senza dovermi nemmeno preoccupare troppo del classico effetto deformato in quanto il cielo si confondeva con il mare nascondendo la linea dell’orizzonte. In piedi, sul bordo della scogliera, con il vento che soffiava sempre più forte alle mie spalle, chiusi il diaframma a f16 per dare più profondità di campo all’immagine. Feci un paio di scatti di prova fino a giungere alla conclusione che 1/200 di secondo sarebbe stato il tempo d’apertura dell’otturatore ideale per l’effetto che avevo immaginato. Così i fiocchi di neve si trasformarono in innumerevoli scie luminose, dando un senso di profondità e di dinamicità. Il Globo, posto in alto a destra, potrebbe sembrare troppo piccolo, ma quando si scatta è importante pensare all’utilizzo finale dell’immagine. Le stampe di grandi dimensioni, come previsto dalla campagna pubblicitaria della Norvegia, mettono in maggior risalto i soggetti apparentemente meno evidenti.
Dati tecnici
- Data: 24 Aprile 2009
- Corpo macchina: Nikon D300 Obiettivo: Nikon 10,5 f2,8 Fisheye
- Lunghezza focale al momento dello scatto: 10,5 mm Apertura diaframma: F 16
- Tempo otturatore: 1/200
- Compensazione esposizione: 0 Sensibilità sensore: ISO 640
- Flash in modalità TTL
- Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)
VIAGGI FOTOGRAFICI di Davide Pianezze: