Nell’immaginario collettivo la Svezia è un Paese civile, evoluto, con un alto grado di scolarizzazione e ottimi servizi sociali. Eppure anch’essa ha i suoi “scheletri nell’armadio”. Uno di questi, forse inaspettato per molti, riguarda proprio il rapporto con la natura. A fronte di numerosi Parchi nazionali ricchi di fauna, un grosso neo sta infatti macchiando proprio in questi giorni la credibilità ambientale del Paese scandinavo: l’abbattimento, con scuse assai poco credibili, dei superpredatori.
Dopo l’abbattimento record di lupi avvenuto a inizio anno, ora il governo ha autorizzato la massiccia uccisione di linci. Ovvero di due specie poste ai vertici della catena trofica le cui popolazioni, per quanto in buone condizioni, certo non sono composte da migliaia di individui. Ma che soprattutto mantengono complesse relazioni con molte altre specie, che a lora volta potranno risentire di questi pesanti mutamenti nel rapporto preda/predatore.
L’abbattimento dei lupi
Tutto è cominciato con i lupi a gennaio, dopo che il governo di Stoccolma aveva autorizzato l’abbattimento di 75 lupi nel 2023, più del doppio della cifra dell’anno scorso, nonostante gli avvertimenti degli scienziati secondo cui il numero di questi predatori non fosse ancora sufficientemente elevato e stabile da sostenere una popolazione sana.
Eppure le autorità, pressate dalle forti lobby venatorie, hanno deciso diversamente e i cacciatori non si sono fatti pregare, uccidendo in poche settimane ben 54 lupi, nel più grande e controverso abbattimento di predatori nella storia recente del Paese.
Ora è arrivato il turno delle linci, per il cui abbattimento l’agenzia governativa ha rilasciato licenze per uccidere un totale di 201 animali (più del doppio rispetto agli ultimi anni) attirando tra l’altro cacciatori da tutta Europa.
Anche in questo caso molti zoologi hanno evidenziato come questi piani di abbattimento siano del tutto sproporzionati rispetto a qualsiasi reale esigenza gestionale, a partire dal presunto pericolo per il bestiame o le persone.
Come in Africa
«Questa è una caccia ai trofei, proprio come andare in Africa a cacciare i leoni”, ha detto Magnus Orrebrant, capo di Svenska Rovdjursföreningen, un gruppo di difesa dei diritti degli animali che ha avviato una petizione per fermare la caccia ai trofei della lince.
Da notare che solo tre mesi fa la Svezia si era impegnata con quasi altri 200 paesi a fermare e ridurre la perdita di biodiversità entro il 2030.
Si potrebbero poi dire molte cose sul perché di queste concessioni alla lobby minoritaria ma influente dei cacciatori, senza alcun reale significato scientifico e che viola la legislazione comunitaria.
Proprio come spesso accade anche in Italia, dove tra l’altro nei confronti dei grandi predatori stiamo assistendo a comportamenti a dir poco contraddittori, con Regioni che, dopo aver avuto cospicui finanziamenti comunitari per reintrodurre specie protette (per esempio, l’orso), ora ne chiedono l’abbattimento (vedi Trentino-Alto Adige). Così come molte Regioni chiedono al governo di riaprire anche da noi la caccia al lupo. Mentre in altri casi (per esempio, in Friuli) si decide di partire con un complesso e costoso progetto di reintroduzione/ripopolamento della lince.
In tutti i casi dunque assistiamo a comportamenti “di controllo” non supportati da dati scientifici e che seguono metodologie non corrette, dando un eccessivo peso a lobby, quelle venatorie, che, per quanto ben organizzate e politicamente trasversali, rappresentano comunque un’esigua minoranza della popolazione italiana ed europea.
E allora viene il sospetto che il loro potere non nasca tanto dalla caccia ma da altre fonti, e che il crescente aumento delle spese militari a cui stiamo assistendo negli ultimi anni anche in Europa possa in qualche modo alimentare e legittimare questo peso politico ed economico.
Allontanandoci ancora una volta dalla pacifica coesistenza con il mondo naturale e privilegiandone invece le numerose e tristemente creative forme di ecocidio.
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