Da quando Steven Spielberg fece uscire nelle sale cinematografiche il famoso film Lo squalo, che all’epoca fece scalpore, la percezione della pericolosità reale di questi animali e dell’incidenza degli attacchi mortali è stata fortemente alterata.
Uno straordinario studio condotto analizzando l’Australian Shark-Incident Database ha permesso di monitorare i dati di 1.196 attacchi di squali riferiti alle coste australiane in 231 anni (1791–2022).
I dati sono stati raccolti dalla Taronga Conservation Society Australia utilizzando questionari appositamente progettati e forniti a vittime o testimoni di morsi di squalo, resoconti dei media e informazioni fornite dal dipartimento responsabile della pesca in ogni stato australiano.
Le tre specie più minacciose sono risultate naturalmente gli squali bianchi, gli squali tigre e gli squali leuca, responsabili del maggior numero di attacchi all’uomo. Quasi la metà degli attacchi totali.
Lo studio analizza con grande attenzione anche quali parti del corpo sono state attaccate con una forte preferenza per il tronco.
La vera sorpresa riguarda lo squalo più mortale, infatti, a dispetto di un numero superiore di attacchi da parte degli squali bianchi, quella più letale è risultata lo squalo tigre.
Gli squali tigre sono i più letali
L’analisi dell’Australian Shark-Incident Database rivela che gli squali tigre (Galeocerdo cuvier) sono proporzionalmente responsabili della maggior parte delle vittime (il 38% dei morsi di squalo tigre provoca la morte), seguiti da squali leuca (Carcharhinus leucas, letali nel 32% dei morsi) e dagli squali bianchi (Carcharodon carcharias, 25%).
Al contrario, gli squali bianchi sono responsabili del maggior numero di morsi ai danni dell’uomo (361 in totale) mentre quelli dello squalo tigre sono risultati 229 e quelli degli squali leuca 197.
Quando avvengono gli attacchi
Altro aspetto indagato è stato il momento della giornata in cui gli squali sono più propensi ad attaccare.
La giornata è stata divisa in quattro periodi: alba, giorno, tramonto e notte. Naturalmente, il momento più pericoloso è risultato il giorno, quello in cui un maggior numero di persone frequenta le acque oceaniche per sport, bagni o altre attività.
Altro aspetto emerso nello studio è l’incremento degli attacchi da quando alcune attività sportive hanno avuto un sensibile aumento a partire dal 1960, specialmente gli sport da tavola (surf ma anche bodyboard, kiteboard, windsurf, wakeboard e stand-up paddle boarding).
Tuttavia, all’incremento degli attacchi degli ultimi 60 anni è corrisposto un calo sensibile della percentuale di mortalità grazie a più rapide azioni di primo soccorso che vedono in prima linea gli stessi surfisti, istruiti all’uso dei lacci emostatici per arginare le emorragie.
Questo incredibile studio offre uno spaccato reale della pericolosità di questi pesci, vittime in ogni angolo degli oceani dell’uomo che, incapace di comprenderne il valore, li uccide per gioco, per sport (se così possiamo chiamarlo), per errore nella pesca o per privarli delle famose pinne, ricercate sui mercati asiatici. Portandoli sempre più verso l’estinzione.
Oggi, più del surfista, è lo squalo a dover temere per la propria salvezza.