Un nuovo studio internazionale, coordinato dal Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza di Roma e dall’Università di Uppsala in Svezia e pubblicato su Nature Communications getta nuova luce sulle dinamiche di risposta delle foreste ai cambiamenti climatici del passato.
Protagonista della ricerca è l’abete rosso, la specie arborea attualmente più comune nella penisola scandinava e in Finlandia.
I precedenti studi, basati sui ritrovamenti di polline fossile dell’abete in antichi sedimenti lacustri, avevano fino ad ora fatto supporre che questa specie fosse giunta in Svezia dal nord-est solo 2.000 anni fa, per diventare poi dominante.
Il nuovo studio, che utilizza il DNA ambientale antico conservato negli stessi sedimenti, dimostra invece che l’abete rosso, contrariamente a quanto sempre creduto, è stato uno dei primi alberi a colonizzare la Svezia, dove era già presente nelle regioni meridionali dopo l’ultima glaciazione, quindi circa 14.000 anni fa.
Non è ancora del tutto chiaro però cosa abbia trattenuto l’abete dal diffondersi in larga misura per le successive migliaia di anni.
Come spiega Laura Parducci della Sapienza, coordinatrice del lavoro: «Le analisi genetiche mostrano che l’abete svedese è sopravvissuto molto vicino alla calotta glaciale e ha sperimentato diversi tentativi per impossessarsi delle foreste scandinave, ma che solo l’ultima espansione ha avuto successo».
Ciò che è invece chiaro è che l’utilizzo del DNA antico per la comprensione della velocità con cui l’abete ha ricolonizzato la Fennoscandia si è rivelato uno strumento di grande importanza per ricostruirne la dinamica. Utile quindi a prevedere le risposte ecologiche al futuro riscaldamento climatico, favorire la diversificazione e la resilienza delle foreste e contrastare le minacce causate dalla frammentazione degli habitat.