Lo scorso anno, la Cina ha annunciato la volontà di fermare le importazioni di rifiuti di plastica.
Dopo lo stop di Pechino, la spazzatura europea era stata convogliata verso gli stati confinanti: Vietnam, Tailandia, Malesia, Filippine e Indonesia sono stati così invasi dalla plastica, attratti dalle prospettive economiche del settore della gestione di rifiuti che – in Cina – ha creato un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro e generato un giro d’affari da 200 miliardi di dollari.
Oro dagli scarti
Ma quello che all’inizio sembrava un investimento vantaggioso, si è poi rivelato troppo oneroso in termini ambientali e di salute: privi delle adeguate strutture per smaltire la plastica, i paesi del Sudest asiatico si sono ritrovati sommersi sotto la bomba ecologica fatta di plastica che è andata a sommarsi agli scarti locali.
Il dietrofront è arrivato presto: il presidente filippino Rodrigo Duterte ha messo a rischio i rapporti diplomatici con il Canada, affermando di volere rispedire al mittente 69 container contenenti ciascuno 1,500 tonnellate di plastica. Al coro si sono aggiunti anche i capi di governo di Thailandia, Malesia e Vietnam, che hanno spiegato di voler fermare l’import di spazzatura.
Quali scenari per l’Italia?
Solo il 9% della plastica mondiale viene riciclato. L’Italia è l’undicesimo esportatore mondiale di rifiuti di plastica: secondo i dati del recente report di Greenpeace, lo scorso anno il nostro Paese ha esportato in Malesia quasi 13mila tonnellate di rifiuti, 5mila in Vietnam e quasi 4mila in Tailandia.
Tutta plastica che, se il bando dovesse essere confermato, dovrà trovare una nuova destinazione finale.
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