Questa volta parliamo di reti di infrastrutture, ovviamente “dolci” ed ecosostenibili: la rete delle nuove piste ciclabili inter-territoriali. Sempre più spesso, infatti, assistiamo alla creazione di nuovi tracciati per i ciclisti progettati con una logica di ampio respiro, ovvero in grado di collegare territori anche distanti tra loro, magari riscoprendo antichi percorsi.
È quello che è avvenuto il 27 luglio 2016, con la firma di tre importanti protocolli d’intesa tra il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, il Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Dario Franceschini, e i rappresentanti di ben otto regioni: Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata e Puglia. Le intese hanno come obiettivo la progettazione e la realizzazione di altrettante ciclovie nazionali, ognuna con percorsi e caratteristiche differenti.
La prima è la CicloviaVen-To che, sviluppandosi per ben 680 chilometri, collegherà Venezia a Torino seguendo soprattutto il corso del fiume Po, lungo gli argini ed utilizzando le ciclabili già esistenti e raccordandole con i pezzi di tracciati mancanti, in una meritevole opera di “ricucitura” e utilizzando e valorizzando, una volta tanto, buoni lavori già fatti.
La seconda è la Ciclovia del Sole, che andrà da Verona a Firenze e che costituisce il proseguo di un altro importante progetto, la Ciclopista del Sole: infatti la prima tratta, dal Brennero a Verona e Lago di Garda, è già stata completata mentre la prossima tappa si estenderà appunto fino a Firenze, con l’ulteriore obiettivo, nel lungo periodo, di raggiungere Roma.
La terza è la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, che collegherà Caposele (AV) a Santa Maria di Leuca (LE) e coinvolgerà Campania, Basilicata e Puglia. L’idea nasce dalla Regione Puglia, che si propone di rendere accessibile ai ciclisti la strada di servizio, normalmente vietata al transito pubblico, che affianca il Canale Principale dell’Acquedotto Pugliese e che attraversa per ben 500 chilometri il territorio delle 3 regioni.
A questi tre progetti se ne dovrebbe aggiungere a breve un quarto, il cui protocollo di intesa è in corso di preparazione: il GRAB di Roma – Grande Raccordo Anulare delle Biciclette. Si tratta di un progetto di un anello ciclopedonale che si svilupperà totalmente nel territorio urbano di Roma e avrà una lunghezza di 44 chilometri. L’obiettivo è quello di creare una fascia “car-free” sviluppando una mobilità alternativa anche all’interno e attorno alla capitale.
Il sistema nazionale delle ciclovie turistiche è stato inserito nella legge di Stabilità di quest’anno, con importanti somme destinate al suo sviluppo: 91 milioni di euro per il triennio 2016-2018. Sono però previsti cofinanziamenti da parte delle Regioni e di altri enti territoriali, che permetteranno di abbreviare i tempi di realizzazione dell’intero percorso. Investimenti importanti, quindi, che potrebbero determinare altrettanto importanti introiti nell’ambito del turismo legato al ciclismo, un settore il cui valore potenziale in Italia (Paese in cui si può andare in bicicletta praticamente tutto l’anno) è stimabile, secondo il Ministero dei Trasporti, attorno ai 3,2 miliardi annui.
Questo permetterebbe inoltre di innescare circuiti virtuosi a livello di sviluppo locale, incrementando il flusso di visitatori italiani estranieri, ma incidendo anche a livello di buone pratiche in ambito di sostenibilità dei trasporti.
Insomma sulle piste ciclabili sembrerebbe che anche a livello di Governo centrale si cominci a scommettere seriamente, sebbene più in ambiti rurali che in quelli urbani, dove in realtà le esigenze di mobilità dolce e protetta sarebbero forse ancora più urgenti.
Inoltre, complice forse una relativa facilità progettuale e realizzativa di tali opere ed il loro buon ritorno di immagine, in molte grandi opere, tra gli interventi di compensazione, sono appunto previste ciclovie. È’ stato ad esempio il caso della nuova TEEM-Tangenziale Esterna Est Milano, appena completata. Qui sono stati realizzati diverse decine di chilometri di piste ciclabili, in alcuni casi valorizzando anche tratti prima chiusi di alzaie lungo i canali o torrenti, come nel caso del Muzza e del torrente Molgora, che hanno tra l’altro creato anche dei nuovi collegamenti funzionali trasversali tra queste idrovie e l’Adda, per esempio nei comuni di Comazzo e Merlino.
Tutto ciò è ovviamente un fatto positivo, se non fosse per due aspetti negativi che rimangono ancora da risolvere. Il primo è la sensazione che alla fine si privilegino in alcuni casi queste opere piuttosto che più urgenti ricostruzioni ambientali, con la creazione di vere reti ecologiche con fasce arboreo-arbustive, dove le piante, quando previste, vengono piantate con soggetti “pronto effetto” di grandi dimensioni (per aumentare i costi), ma poi lasciate spesso morire e non sostituite. La seconda è simile e riguarda la gestione e la buona manutenzione di tutte queste piste ciclabili, che solitamente vengono poi lasciate ai comuni, notoriamente sempre più a corto di soldi. Per cui si assiste sovente a piste ciclabili nuove dove, tra atti di vandalismo e invasione di erbe, si notano i primi segni di degrado già dopo pochi mesi dalla loro inaugurazione.
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