L’orsa JJ4 è stata catturata da una squadra del Corpo forestale con una trappola. I suoi tre cuccioli in fase di svezzamento sono stati, invece, rilasciati.
La vicenda dell’orsa JJ4 ha provocato molte reazioni, anche tra i nostri lettori. Abbiamo ricevuto una lettera che riteniamo interessante condividere, assieme alla risposta di Michele Mauri.
Alla cortese attenzione di Michele Mauri
Buona giornata,
ho letto con attenzione l’ultimo dei suoi apprezzati contributi, in questo caso quello che riguarda le note vicende dell’orso in Trentino.
Mi sono ricordato e sono andato a riprendere in archivio un vecchio numero (225 del 2018) della rivista Oasis. Lì era ospitato un contributo di Franco Tassi, ex direttore del Parco nazionale d’Abruzzo che di orsi si è occupato per tutta la vita (anche se contestato dal punto di vista gestionale e amministrativo, ma questa è un’altra storia). Ebbene Tassi sposa la tesi sostenuta a suo tempo dal Gruppo Orso, di fatto sconfessando l’intero progetto Life Ursus del Trentino. In sintesi: no a una colonizzazione forzata di orsi dalla Slovenia, buona per prendere i finanziamenti europei, oltretutto in un’area oggi fortemente antropizzata. L’alternativa più accettabile secondo questa posizione, sarebbe stata quella di favorire una migrazione naturale, spontanea, sull’arco alpino partendo dalla Slovenia. Ovviamente questo avrebbe voluto creare corridoi favorevoli a questa migrazione. Questa è una tesi del tutto alternativa al progetto Life Ursus. Non potrebbe essere un argomento di riflessione e discussione? Mi piacerebbe conoscere la sua opinione.
Cordiali saluti,
Piermario Curti Sacchi
Gentile Piermario Curti Sacchi,
in effetti la questione è ben più complessa di come viene di solito rappresentata dagli organi di stampa. Pochi sanno, per esempio, che tra il 1959-1960 e il 1978 furono condotti tre tentativi di “rinforzo” della popolazione di orsi trentina, rivelatisi tutti inefficaci forse anche per la natura pionieristica dei criteri scientifici e tecnici adottati.
Ad ogni modo l’ipotesi di ricorrere alla reintroduzione fu presa in esame ben prima di quanto si sia abituati a credere dagli studiosi e i ricercatori che dagli anni Sessanta in avanti si dedicarono specificatamente alla salvaguardia dell’orso fra le montagne del Brenta. Certo, emersero posizioni divergenti. Tra gli anni Ottanta e Novanta Graziano Daldoss, figura perlopiù dimenticata, propose di operare un rinsanguamento basato sulla liberazione di cuccioli nati da orsi ospitati in un ampio recinto capace di accogliere individui adulti provenienti da cattività e mantenuti lontani da ogni possibile contatto con l’uomo, ma il progetto riscosse poco interesse.
Dopo il 1992, anno in cui si svolse il convegno “Incontro internazionale di lavoro sull’orso bruno del Trentino”, il mondo scientifico e conservazionistico incrementò la sua attenzione nei confronti del tema, coinvolgendo specialisti nella biologia e l’ecologia dell’orso, esperti in ambito genetico e parassitologico. Tra l’altro nello stesso periodo emerse in modo abbastanza evidente che le precedenti stime sul numero di esemplari ancora presenti erano sbagliate e che la popolazione effettiva era ben più ridotta (3 orsi). Tale cifra fu avvallata anche da Fabio Osti, che a lungo era stato di fatto l’unico funzionario provinciale ad occuparsi dell’orso su incarico del Servizio Parchi e Foreste Demaniali della Provincia Autonoma di Trento, e che fino a pochi anni prima aveva stimato la presenza di 12/14 esemplari.
Fu allora che prese forma la proposta di attuare un piano di rivitalizzazione con immissione di orsi provenienti dall’area croato-slovena. Tale progetto fu da subito contestato da Hans Roth, lo studioso svizzero che anni prima aveva condotto le prime ricerche radioelettriche sull’orso trentino; Roth sosteneva che un eventuale incrocio degli autoctoni con orsi provenienti dall’Est Europa avrebbe causato la scomparsa del patrimonio genetico trentino. Altri portarono invece dati a conferma della similitudine tra i patrimoni genetici delle due popolazioni.
Su tutto emerse un altro elemento determinante e cioè che gli orsi autoctoni del Brenta non erano più in grado di riprodursi. Il resto è storia più o meno nota.
Riguardo alla perplessità sollevate da Franco Tassi occorre rilevare che, secondo gli studi effettuati, la spinta migratoria degli orsi delle Alpi Orientali, fenomeno di cui si cominciò a parlare già dagli anni Sessanta e che sembrò intensificarsi nei tre decenni seguenti, in realtà è andata calando nel tempo e nessun individuo è riuscito a superare la barriera della Valle dell’Adige. Tuttavia non sarebbe affatto sbagliato continuare a lavorare per favorire la creazione di corridoi capaci di incoraggiare lo scambio in una direzione e nell’altra.
Un cordiale saluto,
Michele Mauri
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