A quasi tre settimane dalla scomparsa di Luca Cavalli Sforza, genetista di fama internazionale, abbiamo pensato di riproporre l’intervista che il sottoscritto, unitamente a Michele Mauri, ha realizzato nell’estate 2012 (La Rivista della Natura n 4 – 2012). Ne emerge una bellissima figura, conscia del proprio sapere, ma disponibile e cortese.
È la sola risposta che ci si aspetta da uno scienziato. Lui è uno dei maggiori studiosi di genetica viventi, un uomo sereno, profondo, ancora assetato di conoscere nonostante i 90 anni. Siamo andati a trovarlo, in pochi minuti siamo passati al tu, perdendoci in un insolito confronto su temi che di scientifico hanno molto poco di Pietro Greppi e Michele Mauri
In un pomeriggio di inizio estate siamo andati a casa di Luca Cavalli Sforza. Più che un’intervista sui temi della genetica, voleva essere una chiacchierata a tre sul suo rapporto con il viaggio e i suoi incontri con popoli lontani. Dopo averci fatti accomodare ai suo fianchi, sul divano, il colloquio ha subito preso una strada inattesa e l’inconsueta intimità che si è instaurata – grazie all’apertura e alla disponibilità di questo signore – ci ha portati a parlare del senso della vita. Con più di una sorpresa.
Michele Mauri – Nei tuoi viaggi hai indagato la storia dell’umanità. Hai viaggiato in luoghi meravigliosi: qual è il tuo rapporto con il mondo naturale?
Luca Cavalli Sforza – I viaggi che ho goduto di più sono stati gli attraversamenti del Sahara, dove certamente la natura è più scarsa. È un po’ più rara e meno varia ma anche la natura che i sassi creano è bella…
Pietro Greppi – Cosa ti ha colpito del Sahara? La sua immensità?
L.C.S. – La solitudine. Però è relativa perché in realtà, lungo la strada, si continua a incontrare persone.
M.M. – Durante questi viaggi in Africa, hai conosciuto moltissime etnie. Ne ricordi una in modo particolare?
L.C.S. – Mah! La gran bellezza delle etnie è che sono tutte diverse, quindi, c’è sempre una grande varietà. E poi, in realtà, sono tutte simpatiche perché in genere – soprattutto se si va in posti dove non ci sono tante persone – sono più contenti di vederti, altro che qui…
M.M. – Quindi, potremmo dire che andavi per curiosare loro, ma loro erano curiosi di incontrare te?
L.C.S. – In linea di massima ho sempre trovato grande gentilezza.
P.G. – A che età hai iniziato a viaggiare?
L.C.S. – Beh, sono andato via di casa quando avevo 14/15 anni, molto presto. Sono stato in Inghilterra. Poi in Francia, poi ancora in Inghilterra. E poi in America, 40 anni…
M.M. – Il viaggio è parte della tua vita. Cosa rappresenta?
L.C.S. – Mah, è una condizione abbastanza normale. Non ho mai fatto una statistica di quanto tempo ho passato e dove. Mi piace l’Italia, ma mi trovo bene anche con gente che conosco poco, perché si riesce a stabilire rapporti abbastanza intimi.
P.G. – In te è palpabile l’amore per il prossimo: da dove nasce?
L.C.S. – Mi piace molto parlare con gli altri, sentire cosa fanno, i loro interessi. Di solito, se lo si riesce a fare bene, la gente non si nasconde.
P.G. – Se ci si apre, gli altri non si chiudono…
L.C.S. – Esatto.
M.M. – Con le tue ricerche, i tuoi viaggi, gli incontri con le popolazioni in Africa, hai dimostrato che siamo 7 miliardi di persone: tutte figlie di alcuni individui partiti alcune migliaia di anni fa dall’Africa Orientale. Siamo anche tutti figli dello stesso ceppo linguistico?
L.C.S. – Il linguaggio è stato lo strumento che ci ha reso molto simili, che ha reso possibile lo sviluppo delle società. Io credo che già 3/400 mila anni fa avessimo un linguaggio abbastanza sviluppato – per quanto crediamo almeno – perché naturalmente non abbiamo nessuna registrazione.
M.M. – Quindi è probabile che fossero già sviluppate diverse lingue?
L.C.S. – Ahh, ma questo è inevitabile perché la distanza a cui noi viviamo rende necessario comunicare con i nostri vicini. Però, nella comunicazione con i nostri vicini, il nostro linguaggio continua a evolvere da una generazione all’altra. E, appena c’è una separazione nel tempo, c’è inevitabilmente anche una differenza linguistica che rende impossibile la comprensione immediata. Certamente, le lingue hanno tutte un’origine unica. Può anche darsi che ci siano state diverse lingue all’inizio. Però, l’origine di una buona parte delle società umane è stata in Medioriente.
M.M. – A proposito dei movimenti, nel tuo lavoro spieghi che i fenomeni migratori sono quelli che hanno favorito la diffusione e il progresso della specie… Allora, perché i fenomeni migratori, spaventano l’uomo?
L.C.S. – Spaventare? In che senso?
M.M. – Beh, insomma, penso, ad esempio, all’arrivo dei barconi dal Nordafrica…
L.C.S. – Chi arriva è in una posizione di inferiorità a meno che non arrivi un grande esercito e con le armi. Ma arrivavano con le armi per mangiare, avevano bisogno delle armi per andare a caccia. In fondo, il cibo fino a 200 anni fa, ce lo procuravamo quasi giornalmente con l’eccezione delle popolazioni stanziali che si erano già sviluppate; ma la maggior parte del mondo era ancora tutto in movimento. Ed è in movimento ancora adesso. Comunque, la ragione del movimento continuo è molto semplice: la specie ha continuato a crescere in numero. Non abbiamo più figli di quanti siamo noi. La specie continua a crescere, questo ispira un movimento, perché a volte è più facile sistemarsi andando un po’ più in là, oltre all’interesse di scoprire luoghi nuovi, anche ignoti. Io sono sempre stato molto contento di andare in luoghi nuovi, con volti nuovi.
P.G. – Tu sei un gran conoscitore dell’Uomo.
L.C.S. – Mah, ho cercato di capire qualcosa…
P.G. – L’Uomo, le lingue, le religioni. Se in fondo siamo tutti una stessa razza…
L.C.S. – Una stessa specie, non razza! La questione delle razze è importante da discutere perché ci sono delle animosità tra razze contro cui bisogna lottare. Perché bisogna andare d’accordo, è fondamentale…
P.G. – Siamo tutti della stessa specie, ma abbiamo sviluppato culture, religioni, filosofie diverse.
L.C.S. – Le religioni sono importanti perché determinano la nostra socialità. Ci danno, insomma, dei consigli su come vivere in società. In sostanza, è questa l’utilità principale delle religioni. Magari, anche quella di rispondere a questioni che ci riguardano: chi siamo, perché siamo qui…
P.G. – Ma non è la domanda più importante per l’uomo?
L.C.S. – Sì. Ecco: penso che è una domanda importante, ma inutile perché il fatto che ci siamo basta! Fa sì che dobbiamo continuare a esserci, possibilmente nel migliore dei modi. Direi che questa è già una religione, se si vuole, no? E questo è un concetto religioso.
P.G. – Vorrei farti un’altra domanda personale…
L.C.S. – Falla, falla!
PG: Qual è la tua visione dell’Assoluto?
L.C.S. – Dunque, è una parola che non uso perché mi serve soltanto in condizioni particolari, quando uso il suo opposto che è “relativo”. Sono due delle parole forse più difficili da usare e da definire perché sono le parole più astratte. L’astrazione delle parole, spesso, è travolgente e intensa. Assoluto e Relativo sono tra i termini più difficili da definire bene.
M.M. – Una volta hai dichiarato in un’intervista «l’Aldilà è un’invenzione intelligente e niente più. E il Cristianesimo gli ha dato una forma compiuta».
L.C.S. – Modificherei un pochino: direi che è un’invenzione intelligente, e basta. Cioè non possiamo dire se L’Aldilà è vero, o non è vero. Come si fa ad avere sicurezze su queste cose…
M.M. – Però questa è già una tesi…
L.C.S. – Direi, più ragionevole, forse.
P.G. – Jung parla della sincronicità, del fatto che le cose che capitano all’uomo non sono casuali. E più sei aperto a riceverle più te ne succedono… Insomma, questa perfezione dell’universo, questa sorta di meccanismo matematico, di gioco perfetto in continuo movimento, per me è l’Assoluto. E questo mi conforta.
L.C.S. – Non è del tutto irragionevole e forse anch’io ho delle idee simili, ma non sono sicuro, non cerco certezze sotto questo punto di vista. È una perdita di tempo in quanto questo genere di assoluti non lo raggiungeremo mai.
M.M. – È la posizione pura dello scienziato. Al di fuori della scienza nulla è interessante.
L.C.S. – Beh, in fondo, sì. Tutto quello che si riesce a capire nei ragionamenti della scienza mi interessa. Ciò che non si riesce, beh, pazienza.
M.M. – Tornando alla scienza… qual è stata la scoperta più importante?
L.C.S. – Sono sempre molto incerto nel dire le cose di cui sono certo. Io in realtà non sono certo di niente, per l’esattezza. Quindi, non mi preoccupo di stabilire delle certezze. Oddio, quando dico “io esisto” questa è quasi una certezza. Anche tu esisti, perché se parliamo insieme, esistiamo tutti e due.
M.M. – Molti temono che il processo di globalizzazione che è in atto porterà inevitabilmente ad una perdita della varietà culturale. Pensi che le differenza culturali rimarranno?
L.C.S. – Quello che tu chiami il processo di globalizzazione io lo chiamo il contrario: è il processo della creazione di una differenziazione sempre più grande.
M.M. – Voglio essere certo di aver capito: lo scambio di informazioni che è sempre più facile e sempre più veloce, favorirà la ricchezza culturale?
L.C.S. – Oh! Beh… si!.
P.G. – A che punto del suo viaggio è l’uomo Sapiens”
L.C.S. – Mah, dunque, è una domanda che ha parecchie possibili risposte a seconda se si riferisce al tempo o allo spazio, o a tutti e due e a quali tempi e a quali spazi, no?!. È molto difficile rispondere…
P.G. – Provaci comunque.
L.C.S. – Penso che l’uomo oggi stia cambiando più rapidamente, ma continua a scrivere, sempre di più, quindi rimane sempre una documentazione di un certo senso. C’è una serie di nostre azioni che continuerà a esistere e probabilmente non andrà completamente perduta.
M.M. – Ma, quindi, a che punto è arrivato il viaggio dell’uomo?
L.C.S. – Aaah, ma la risposta è semplicissima! Non-lo-so!
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