Palazzi e musei aperti, installazioni, performances: a Palermo è iniziata a tutti gli effetti la dodicesima edizione di ‘Manifesta’, biennale nomade d’arte contemporanea che animerà il capoluogo siciliano fino al prossimo 4 novembre. Tema di questa edizione è ‘Il Giardino Planetario. Coltivare la Coesistenza’, un’indagine sui fenomeni geopolitici, sociali ed ecologici dei nostri tempi di cui Palermo è crocevia naturale. Manifesta12 dunque si focalizza sull’idea di ‘giardino’ come luogo di aggregazione eterogeneo; principio quest’ultimo che si basa in parte sulla teoria del botanico francese Gilles Clément, il quale nel 1997 ha definito il mondo ‘un giardino planetario’, ovvero un luogo in cui i ‘giardinieri’ (gli abitanti) sono destinati a conoscere, proteggere ed esaltarne la diversità in un’ottica di condivisione.
Con le sue 12.000 specie di piante diverse, l’Orto Botanico di Palermo è probabilmente il luogo che incarna meglio questo principio ed è infatti una delle sedi fisiche della biennale. Tuttavia, dagli Arabi alla ‘Belle Époque’, la città siciliana ha incantato viaggiatori italiani e stranieri proprio per la ricchezza e l’abbondanza di parchi e giardini: un tesoro verde, oggi purtroppo fortemente ridotto a causa della criminale speculazione edilizia protrattasi per decenni a partire dal secondo dopoguerra italiano. Qualche lembo di verde è però riuscito a sopravvivere, come nel caso degli agrumeti di Ciaculli e Croceverde-Giardina ai margini sud-orientali della città. Soffocati da infrastrutture, abitazioni private e quartieri, ‘i mandarineti della Fawara’ rischiano ancora oggi di essere cancellati per fare spazio a nuovo cemento: l’area era stata individuata per ospitare il nuovo cimitero della città o addirittura la nuova sede di Ikea (un progetto, al momento, abbandonato). «Vorremmo proteggere i 15 ettari di agrumeti sopravvissuti alla speculazione edilizia», fa sapere Max Serradifalco fotografo paesaggista e promotore, insieme ad altri attori, di un’iniziativa per salvaguardare il luogo: «L’idea è di rendere fruibile questa porzione di territorio, cosiddetto ‘Parco della Fawara’, sviluppando un progetto dedicato al turismo rurale, con il coinvolgimento dei residenti e dei proprietari degli antichi bagli disseminati nel verde». Il progetto sta prendendo forma grazie al contributo dell’Associazione Culturale Italia Nostra – Sezione Palermo e prevede il recupero delle strutture esistenti (alcune risalenti anche XVI-XVII sec.) e la conversione delle stradelle in una fitta di rete di piste ciclabili connesse al sistema di trasporto pubblico della città. «È veramente un pezzo di paradiso» racconta il Prof. Piero Longo, Presidente della sezione di Palermo di ‘Italia Nostra’, «I giovani devono capire che è importante salvaguardare questo angolo di Palermo in cui è condensata gran parte della storia cittadina, dagli Arabi ai giorni nostri. Come Associazione possiamo dare un contributo a sostenerne la difesa, ma è necessario l’interesse della cittadinanza che deve innanzitutto conoscere il luogo per potersene innamorare». Agli inizi di giugno, Max Serradifalco e l’Associazione Italia Nostra hanno organizzato un piccolo evento che ha portato qualche decina di ciclisti alla scoperta della Fawara. La speranza è che il sito possa rientrare nell’orbita di interesse della biennale ospite a Palermo; se un ‘Giardino Planetario’ esiste, è bene che i suoi ‘giardinieri’ se ne prendano cura, prima che sia troppo tardi.
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