Prendiamo, per esempio, una zucchina, la Cucurbita pepo, una delle piante maggiormente diffuse nelle coltivazioni agricole in tutto il mondo. Coltiviamola in vasi di vetro contenenti terriccio miscelato a concentrazioni crescenti di quattro delle più comuni e abbondanti microplastiche che si rilevano nel suolo (polipropilene, polietilene, polivinilcloruro e polietilentereftalato), somministrandole separatamente in modo da valutare la tossicità di ogni singola tipologia di materiale.
È ciò che hanno fatto i ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, in collaborazione con il team del Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Siena, in uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Journal of Hazardous Materials. Che ha dato risultati allarmanti: tutte le plastiche testate hanno causato una notevole riduzione della crescita delle piante e della loro efficienza fotosintetica, oltre a una variazione nell’assorbimento dei nutrienti. In particolare, il polivinilcloruro, noto come PVC, è stato identificato come il più tossico.
«Il rilascio costante nell’ambiente e la bassissima degradabilità dei polimeri plastici è un problema a livello globale – racconta Cristina Gonnelli, che insieme a Ilaria Colzi ha coordinato la ricerca –. A oggi il tasso di decomposizione delle micro e delle nanoplastiche (cioè dei frammenti e delle particelle più piccole fino a<0,1 μm) nel suolo è piuttosto sconosciuto e si presume che la loro persistenza e accumulo stiano innescando un drammatico impatto sugli organismi viventi». Drammatico non solo per le possibili conseguenze negative in termini di resa produttiva nei terreni agricoli, come evidenziato dalla ricerca condotta dalle due università toscane, ma anche per le implicazioni che l’eventuale trasferimento delle microplastiche dal suolo fino alla parte commestibile della pianta potrebbero avere sulla salute umana.
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