Siamo riusciti a portarla anche negli abissi più profondi del Pianeta, 11 chilometri sotto la superficie del mare. Stiamo parlando della plastica, quel fardello, ex simbolo del progresso, con cui stiamo contaminando ogni ecosistema.
Nella Fossa delle Marianne, nell’Oceano Pacifico, i ricercatori dell’Università inglese di Newcastle hanno appena scoperto una nuova specie di anfipode, un minuscolo crostaceo dal corpo compresso lateralmente e un po’ arcuato.
Le analisi su alcuni esemplari hanno mostrato che questi hanno ingerito plastica, evidenziando la presenza di tracce di PET (polietilene tereftalato), un tipo di plastica usata in una grande varietà di prodotti di largo uso, dalle bottiglie per l’acqua agli indumenti sportivi.
La ricerca, supportata dal WWF, è stata pubblicata sulla rivista scientifica Zootaxa.
«Abbiamo deciso di dare alla nuova specie il nome Eurythenes plasticus – ha dichiarato Alan Jamieson, ricercatore capo dell’Università di Newcastle – perché volevamo sottolineare il fatto che dobbiamo agire immediatamente per fermare lo ‘tsunami’ di rifiuti di plastica che si riversa nei nostri oceani».
Un’infestazione che rischia di avere gravi effetti pratici: lo scorso anno un’importante ricerca pubblicata su Nature Communications aveva dimostrato gli effetti nefasti delle nanoplastiche sulle comunità marine del batterio Prochlorococcus, fondamentale microrganismo marino che è alla base di almeno il 20% della produzione di ossigeno che proviene dai batteri marini.
Il ciclo “vizioso” della plastica
«La specie appena scoperta ci mostra quanto siano gravi gli effetti della gestione inadeguata dei rifiuti di plastica. Specie che vivono nei luoghi più profondi e remoti della terra hanno già ingerito plastica prima ancora di essere conosciute dall’umanità.
La plastica è nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo e ora anche negli animali che vivono lontano dalla civiltà umana», dice Isabella Pratesi, direttore Conservazione di WWF Italia.
Nell’area mediterranea l’Italia è il maggiore produttore di manufatti in plastica e il secondo più grande produttore di rifiuti di plastica; delle quasi 4 milioni di tonnellate di rifiuti plastici l’anno, oltre l’80% proviene dall’industria degli imballaggi.
Il 26% del totale di rifiuti plastici prodotti viene avviato al riciclo (il 44% dei rifiuti di imballaggio plastici) e trasformato in materia secondaria, mentre il 60% viene incenerito o conferito in discarica.
I rifiuti di plastica dei paesi industrializzati finiscono spesso nel Sud-Est Asiatico, dove la gestione dei rifiuti è spesso insufficiente o inesistente. Poiché la maggior parte dei rifiuti di plastica non può essere riciclata, spesso viene bruciata o buttata in discarica.
Da lì si fa strada nei fiumi e, infine, arriva nell’oceano. Una volta in acqua, i rifiuti di plastica si frammentano in microplastiche e poi nanoplastiche che si diffondono nei mari e negli oceani dove vengono ingerite dagli animali marini, come nel caso del nostro piccolo Eurythenes plasticus.
Serve un trattato vincolante
Occorre una soluzione globale. Per raggiungere questo obiettivo, nel 2019 il WWF ha lanciato una campagna internazionale chiedendo un Trattato globale giuridicamente vincolante per ridurre i rifiuti di plastica, migliorarne la gestione e porre fine all’inquinamento marino da plastica.
Per quanto riguarda le iniziative politico-istituzionali per arginare l’inquinamento da plastica l’Italia attende segnali chiari e concerti dal Governo sul corretto recepimento della Direttiva europea sulla plastica monouso, dopo la travagliata vicenda della plastic tax e in attesa di capire quale destino avrà il disegno di legge “Salva Mare”, ferma in Senato.
Secondo il WWF è bene che l’Italia dimostri concretamente all’Europa e al mondo di voler salvare il nostro mare, recependo tempestivamente e correttamente la normativa comunitaria, che stabilisce di bandire entro il 2021 i piatti, le posate, le cannucce, le aste per palloncini e vuole raggiungere l’obiettivo di raccolta delle bottiglie di plastica del 90% entro il 2029.
Iniziative da moltiplicare
Il nostro Paese ha vietato l’utilizzo di shopper di plastica non biodegradabili per la spesa dal primo gennaio 2011, dall’inizio del 2018 ha vietato l’uso di sacchetti ultraleggeri di plastica per gli alimenti sfusi (ortofrutta, carne, pesce), dal 1 gennaio 2019 è vietato l’uso di bastoncini cotonati non biodegradabili e dal primo gennaio 2020 l’uso di microplastiche nei prodotti cosmetici da risciacquo. Questa leadership su scala europea va confermata.
Una volta superata la grave emergenza globale di questo periodo, avremo l’occasione per un ripensamento graduale dei nostri modelli di vita.
«Non tutti gli individui della nuova specie E. plasticus contengono plastica. Quindi, c’è ancora speranza che molti altri esemplari ne siano privi. Per aiutare a proteggere le specie marine e i loro habitat naturali, stiamo chiedendo anche in Italia di lavorare per un trattato internazionale legalmente vincolante per porre fine all’inquinamento marino della plastica», conclude Isabella Pratesi.
Ogni minuto almeno un carico di camion di rifiuti di plastica entra nei nostri oceani. Per porre fine a questo vera e propria invasione il WWF ha lanciato una petizione mondiale, già firmata da oltre 1,6 milioni di persone in tutto il mondo.
Su https://www.wwf.it/petizione_plastica.cfm i sostenitori possono chiedere ai governi di impegnarsi per un trattato internazionale legalmente vincolante.
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