I quattro elementi per antonomasia: terra, aria, acqua e fuoco.
Già decantati da Platone nell’antichità e ripresi da tutti i filosofi. E così intimamente legati alla realtà storico-naturale italiana, simbolo di un pianeta in fibrillazione, dove nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, in una sequenza di eventi spesso catastrofici e inconcepibili per la mente umana.
Da sempre l’uomo deve fare i conti con le bizzarrie di un mondo in continuo mutamento, che proprio nel nostro Paese, trova la conferma più esplicita della sua instabilità.
I terremoti sono un dato di fatto. L’Italia è un paese altamente sismico. Non tutte le zone. I punti più caldi si trovano in corrispondenza della catena appenninica, delle Alpi orientali e dello Stretto di Messina. Esiste una mappa della pericolosità. In rosso sono segnalate le aree più esposte, dove, non a caso, l’immaginario collettivo ricorda gli eventi più tragici: Friuli, Campania, Calabria. Sono poche le zone “immuni”. Una, la parte a ovest della pianura padana; l’altra, il sud della Puglia.
Non è un caso: sono infatti le aree che non danno adito al geodinamismo terrestre, appannaggio di corrugamenti e zone di subduzione; luoghi in cui la crosta terrestre viene “riciclata”, finendo sotto qualche placca; le sedi più delicate, contrassegnate da gravi episodi di natura sismica e vulcanica. In particolare in Italia si assiste al movimento costante della placca africana che si insinua nel cuore di quella adriatica, generando terremoti ed eruzioni.
E se non trema, la terra frana.
L’Italia vanta il triste primato di essere uno dei paesi maggiormente soggetti a fenomeni di natura franosa. In cima alla classifica c’è l’Emilia Romagna; a seguire Campania, Molise e Val d’Aosta. Quasi sei milioni di italiani vivono a stretto contatto con terreni soggetti a smottamenti. In parte è colpa nostra: le attività agricole e industriali depauperano il territorio, privandolo di aree verdi che, grazie alle radici, contrastano le frane. E non sono numeri così lontani da quelli riguardanti i terremoti.
Negli ultimi cinquant’anni, frane e alluvioni hanno causato, più di 5mila vittime e migliaia di sfollati. L’aria. Quest’estate hanno fatto notizia le numerose trombe d’aria che si sono abbattute sul Belpaese. Le hanno immortalate tanti improvvisati fotoreporter muniti di smarthphone.
Anche l’aria può fare paura.
E l’effetto serra non può che incrementare questo timore. Gli eventi estremi trovano conferma in un cambiamento delle dinamiche troposferiche, e nell’incapacità di predire con successo le turbolenze dei cieli.
Gli uragani non hanno mai segnato la storia italiana. Ma alcuni climatologi puntano il dito sul riscaldamento progressivo della superficie del Mediterraneo, connessa all’ipotesi di tempeste tropicali in zone temperate.
Nel 2050 potrà avvenire, con un processo già in atto e ampiamente documentato: la tropicalizzazione dei mari. L’acqua. Le alluvioni. L’Italia è il Paese delle alluvioni. Bastano pochi nomi. Sarno, 1998, 159 vittime; Val di Stava, 1985, 268 vittime; Vajont, 1963, 1909 scomparsi. E gli archivi ci raccontano di episodi ancora più drammatici. Il 27 settembre, a causa delle forti piogge, dai colli che circondano Palermo venne giù il finimondo uccidendo 7mila persone.
E, in generale, non passa anno senza che si senta parlare di fiumi e torrenti che esondano, provocando di volta in volta immani calamità.
E c’è, infine, il fuoco.
I vulcani, anch’essi figli di una geologia che dà letteralmente in escandescenza. L’Etna si incendia con una frequenza quasi annuale. E se la sua lava scarsamente viscosa non dà molte preoccupazioni, diverso è il parere relativo al vulcanesimo vesuviano o stromboliano. Si tratta di eruzioni esplosive, come quella che sotterrò Pompei ed Ercolano nel 79 d.C. Gli occhi ora sono puntati proprio sul Vesuvio, che ha borbottato l’ultima volta nel 1944. Anche Nature ne ha discusso recentemente: “bomba a orologeria“, così è stato soprannominato.
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