Lo so, questo post parte con un titolo fastidioso. Se siete fra quelli che vogliono sentirsi raccontare che presto l’economia italiana tornerà a correre a gonfie vele e tutti quanti consumeremo di nuovo come polli d’allevamento, il suggerimento è di chiudere la pagina. Se invece vi annoverate fra quanti hanno deciso di sottrarsi alla schiavitù dell’uomo perennemente indebitato, allora procedete pure.
È la sacralità della merce a essere entrata in crisi in questi anni. Una parte della popolazione si è resa conto che il termine benessere, così come è abitualmente inteso, non porta una sana prosperità, ma cela piuttosto un bisogno irrazionale di consumare. Difatti, se da un lato la qualità della nostra vita è progredita grazie alla disponibilità di nuove tecnologie, dall’altro è regredita a causa dei ritmi sempre meno naturali e dell’inquinamento dilagante dei luoghi in cui viviamo. Con la crisi iniziata nel 2008 molti di noi hanno cominciato a frenare i propri consumi: alcuni per necessità, altri per timore, altri ancora per contagio. A questo punto è entrata in gioco la variabile impazzita, il cosiddetto cigno nero, l’elemento imprevedibile che muta gli scenari. Tanti hanno cominciato a interrogarsi sui comportamenti precedenti, scoprendo che l’affannarsi per soddisfare futili desideri era totalmente privo di senso. Non serve ad accrescere la nostra felicità, ma ad alimentare un sistema da cui pochi traggono benefici esagerati.
Gli economisti e gli opinionisti che invocano la crescita a ogni costo stanno pensando alla perpetuazione di quello stesso sistema da cui molti di voi si sono già allontanati o stanno tentando di sfuggire. Vogliono ricondurci come un gregge nell’ovile, e l’ovile che ci attende è rappresentato da luoghi infernali dove non sapremo resistere al desiderio di acquistare. Luoghi dove perlopiù si vendono merci scadenti, perché l’economia dei consumi facili predilige prodotti di bassa fattura, che si logorano in fretta. Il valore artigianale e la cura per il bello sono considerate soltanto perdite di tempo nella società opulenta della crescita illimitata.
Tutto risponde a un disegno preciso: farci ripiombare nel ruolo di consumatori privi di facoltà raziocinante. Questa sì, sarebbe la fine di un’Italia già sufficientemente avvilita e degradata. Ma gli appelli alla spesa facile non hanno fatto i conti con gli italiani che si rifiutano di tornare nel branco. Per questo, spero, la nostra economia non si riprenderà. Perlomeno non come vorrebbero loro.
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