Tutte le forme di vita comparse fino a oggi sulla Terra hanno avuto la stessa origine, riconducibile al cosiddetto “ultimo antenato universale comune”, conosciuto con l’acronimo Luca. Ma come vivesse e come gli uomini e le forme di vita più progredite si siano evolute da esso resta un mistero che dura da quasi quattro miliardi di anni.
Oggi, però, gli scienziati stanno tentando di risolvere il dilemma avanzando una nuova tesi: il tutto sarebbe dipeso da una “sofisticazione” della membrana cellulare, che all’improvviso avrebbe acquisito una serie di prerogative fondamentali in grado di fornire all’organismo primordiale un apporto energetico maggiore. La membrana sarebbe, infatti, diventata permeabile, permettendo ai protoni di entrare e uscire liberamente, determinando una resa metabolica sempre più efficiente. «Da questo punto è presumibile supporre che le cellule si siano cominciate ad accrescere velocemente, innescando tutti i meccanismi che hanno infine portato alla nascita di organismi sempre più complessi», rivela Nick Lane, del dipartimento di biologia dell’University College di Londra.
Si ritiene che Luca vivesse, dunque, in un mare antico, ricco di particelle cariche positivamente. Qui l’evoluzione avrebbe favorito un miglioramento del funzionamento delle pompe ioniche membranose e con esso lo stratagemma ideale per fornire maggiore energia alle cellule. Lo scambio di protoni avrebbe, in particolare, facilitato l’attività e la produzione di una molecola fondamentale per la sopravvivenza cellulare: l’adenosin trifosfato, meglio noto con il nome di Atp. È una prerogativa della cellula moderna e di tutti i suoi processi metabolici.
«In pratica», concludono i ricercatori, «da una sola idea di base ci fu la differenziazione fra archeo-batteri e batteri e quella finale degli eucarioiti, le forme cellulari più evolute che caratterizzano anche l’uomo».
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