- DA NON PERDERE L’ascesa alla base del Campanile di Val Montanaia e le vette della Val Cimoliana
- PERCHÉ È il paesaggio di montagna più spettacolare e selvaggio della regione, divenuto patrimonio UNESCO
- QUANDO Dalla primavera inoltrata a inizio autunno
- COME A piedi
Impervie, poco accessibili e selvagge, le Dolomiti Friulane rappresentano la parte più orientale del famoso complesso di montagne che nel 2009 è stato inserito nella lista dei beni UNESCO, patrimonio dell’umanità.
Quello che all’epoca dei dinosauri era un mare tropicale poco profondo si è sollevato, spinto da clamorose forze tettoniche, fino a dare vita a formazioni rocciose calcaree, affilate e irregolari, diventate meta di alpinisti ed escursionisti esperti. Nell’ampia Val Cimoliana si trovano molti dei percorsi di quota più suggestivi, che si inerpicano sul fianco delle montagne fino a raggiungere prati umidi e ghiaioni, che a giugno e a luglio si riempiono dei cespugli rosa del rododendro, del candido camedrio e di specie molto più rare e localizzate, come la campanula di Moretti, l’arenaria di Huter o la genziana di Froelich.
Sulla vetta del Campanile
Tra le vette più famose e iconiche c’è senz’altro il campanile di Val Montanaia, un torrione verticale che si solleva per 300 metri fino a quota 2173 metri. Simbolo di tutta l’area protetta, per la sua forma unica e sempre riconoscibile, è diventato tappa obbligata per gli alpinisti che frequentano la zona, ed è stato più volte scalato da Mauro Corona, scrittore e artista che ha ambientato molti dei suoi libri tra queste montagne.
Raggiungere la vetta del Campanile prevede una scalata molto impegnativa, ma gli escursionisti possono comunque arrivare agevolmente alla base della formazione rocciosa, partendo dal rifugio Pordenone per poi risalire per 3 ore la Val Montanaia. Le migliori vedute d’insieme del Campanile e dell’arco di montagne circostanti si hanno dal breve sentiero panoramico che parte dal Rifugio Pordenone senza inoltrarsi nella valle. Qui, seduti sulle comode piazzole di osservazione, può anche capitare di scorgere la grande sagoma dell’aquila reale, presente nel parco con una decina di coppie.
Le escursioni natutalistiche
Un sentiero naturalistico degno di nota è il Truoi dai Sclops, il considdetto Sentiero delle genziane, nei pressi di Forni di Sopra, nella porzione più a Nord del parco. Si tratta di un itinerario impegnativo (più di 1000 metri di dislivello, ma può essere spezzato in più segmenti) che consente di osservare a giugno e ai primi di luglio alcune delle fioriture alpine più interessanti dell’area protetta.
Il fascino di queste montagne sta proprio nella loro limitata accessibilità. Anche se le altezze non sono clamorose, le strade si fermano nei fondovalle senza salire troppo e mancano gli impianti di risalita. Il dominio di alta quota, dove ci si avventura seguendo i sentieri tra le rocce, è uno dei più intatti che si possano ammirare nell’arco alpino.
Alcune specie animali non sono facili da osservare in natura, nonostante le grandi dimensioni. Per questo, ricorrendo anche ad animali nati in cattività o ottenuti da altri centri faunistici, è stata allestita l’area faunistica Parulana, presso Forni di Sopra, che consente di osservare alcune delle specie più elusive del parco: volpi, cervi e addirittura le linci, rari felini europei, ma è presente anche una voliera per una coppia di gufi reali, i rapaci notturni più grandi d’Italia.
Vedere gli animali dal vivo, tuttavia, non è scontato perché questi si trovano in grandi recinti, attraversati da un torrente, che delimitano il loro habitat naturale. Con un po’ di pazienza e facendo silenzio è, tuttavia, possibile fare osservazioni memorabili e scattare ottime immagini. Lungo i percorsi pedonali che corrono paralleli ai vari recinti sono posizionate bacheche che raccontano la biologia delle specie protagoniste, ma è anche possibile partecipare ad una visita guidata con personale appositamente preparato.
Per chi vuole provare un’eccitante avventura in completa sicurezza può visitare il Dolomiti Adventure Park all’interno del quale settanta piattaforme sospese e connesse tra loro da ponti e funi permettono di spostarsi da un albero all’altro in un’immersione totale nella foresta. Sono presenti itinerari più o meno semplici in modo da soddisfare le varie esigenze e per i più temerari ad attenderli c’è la Powerfan, per scendere a terra a tutta velocità da un’altezza di 15 metri.
Nel territorio del Parco naturale delle Dolomiti friulane sono presenti nove centri visita, dislocati nei maggiori punti di accesso all’area protetta.
La diga del Vajont
La parte occidentale delle Dolomiti Friulane è nota per una delle più grandi tragedie avvenute sul suolo italiano nel secolo scorso. Verso la fine degli Anni Cinquanta, infatti, venne costruita nella Valle del Vajont una diga con funzione idroelettrica, alta ben 265 metri. La notte del 9 ottobre del 1963, una gigantesca frana del Monte Toc – che molti temevano, ma a cui non si prestò la dovuta attenzione – scivolò nel lago, provocando un’onda fuori misura che superò la diga del Vajont, abbattendosi sul sottostante paese di Longarone. Il piccolo centro venne completamente distrutto e persero la vita 1910 persone. Ancora oggi è facile vedere le testimonianze della catastrofe in tutta la città, che è stata completamente ricostruita.
Oggi la diga del Vajont è diventata una delle attrazioni turistiche più importanti del Friuli Venezia Giulia. In circa un’ora è possibile visitare il Museo del Vajont, percorrere una porzione della diga e osservare l’area di distacco della frana (ben riconoscibile ancora oggi) e la valle sottostante di Longarone, spazzata via in quella tragica notte.
Il Centro Visite di Erto e Casso è uno tra i più importanti e completi centri di documentazione sul disastro del Vajont.
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