Come ogni anno puntuale sulla rete spuntano mille appelli a non mangiare l’agnello per Pasqua, che qualcuno vede come un cucciolo da difendere mentre altri, bisogna dire sempre meno, lo vedono solo come pietanza, sempre in bilico fra sacro e profano.
La posizione dell’arcivescovo
Quando arrivano le critiche molti difendono la scelta di mangiare agnello come se questa fosse un precetto religioso, ma non è così, come ha recentemente detto l’arcivescovo di Vieste e Manfredonia, don Michele Castoro al Resto del Gargano: «La Pasqua cristiana non ha nulla a che fare con la strage di milioni di agnellini – queste le parole dell’arcivescovo riportate dal Resto del Gargano – in quanto Cristo, vero agnello pasquale, ha immolato se stesso per riscattarci dalla malvagità, dalla ingiustizia e da tanti altri mali che affliggono l’uomo e il creato. Noi come Chiesa inoltre crediamo che l’uomo non sia il padrone del creato ma solo il custode, il quale è chiamato ad amare, a prendersi cura e a promuovere la bellezza e la vita del creato nelle sue diverse forme».
Nessuna scusante
Non esistono scusanti religiose quindi e la scelta di mangiare agnello passa dall’essere difesa come un precetto all’essere semplicemente un peccato di gola, sul quale riflettere. Abbiamo già parlato delle sofferenze e dei maltrattamenti ai quali gli agnelli vengono sottoposti e la decisione di fare un piccolo sacrificio servirà a far ulteriormente decrescere un mercato, quello delle carni di agnello, in costante e inesorabile calo. Una riflessione che merita di essere fatta.
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