Se negli anni scorsi Pasqua e agnello sembravano un binomio inscindibile ora non è più così e il consumo di carni ovine risulta essere in netta flessione (-6% sul 2016 secondo i dati ISMEA), anche per le campagne delle associazioni animaliste che invitano a evitare il consumo di carne di agnello. Le motivazioni che giustificano questa richiesta sono diverse e vanno da quelle etiche, legate all’uccisione di animali in generale e al fatto che si tratti di cuccioli di poche settimane di vita, a quelle legate ai maltrattamenti che gli animali sono costretti a subire prima di arrivare nei piatti.
Etica e empatia verso gli animali
Una gran parte dei consumatori quando si parla di agnelli ha due distinte visualizzazioni su cosa rappresenti il sostantivo “agnello”: l’immagine bucolica del cucciolo che corre nel prato oppure la costoletta nel piatto o nel vassoietto di polistirolo al supermercato. Come se fra le due “immagini” ci fosse uno spazio vuoto, uno spazio che spesso chi consuma agnello o capretto non desidera proprio riempire di contenuti.
Le scelte legate all’empatia e all’etica sono individuali, decisioni sulle quali ognuno deve riflettere e trarre delle conclusioni personali, ma per farlo occorre però avere quella che tecnicamente si definisce la conoscenza della filiera produttiva. Senza questa conoscenza il consumo di carne in generale e di agnello in particolare soddisfa il palato ma non consente di operare riflessioni critiche che potrebbero essere importanti. La prima considerazione sulla quale occorre riflettere è che pur se si considera lecito il cibarsi di animali non si dovrebbe ritenere altrettanto accettabile il maltrattamento e la sofferenza giustificata dal solo profitto che viene inflitta agli animali da macello, in aggiunta a quella inevitabilmente connessa con l’uccisione e la morte. Durante il periodo pasquale aumenta in modo molto importante il consumo di carne di agnello e capretto perché, tranne per tradizioni regionali, la carne ovicaprina non rientra fra quelle a maggior consumo. Il mercato deve quindi essere approvvigionato in spazi temporalmente brevi, con animali che non provengono da allevamenti esclusivamente nazionali e con un picco di macellazioni nelle settimane antecedenti alla Pasqua.
I lunghi viaggi della morte
Gli agnelli vivi non sono solo di produzione nazionale ma vengono importati soprattutto da paesi europei che distano anche migliaia di chilometri dai punti di macellazione: arrivano infatti da Polonia, Romania e anche Grecia, con viaggi che possono durare fino a 30 ore. Spesso su questi trasporti a lunga percorrenza vengono fatti viaggiare agnelli non ancora svezzati, che patiscono maggiormente i rigori del trasporto, come dimostrato dall’organizzazione CIWF – Compassioni in World Farming in una delle sue inchieste. Una volta giunti a destino le operazioni di scarico e macellazione avvengono troppo spesso in modo frettoloso, su animali già provati da tanto lunghi quanto inutili trasporti, con conseguenti aggiuntivi maltrattamenti in ognuna delle operazioni necessarie a trasformarli da animali vivi in braciole. Violenze allo scarico, stordimenti frettolosi e quindi non efficaci portano gli agnelli a essere frequentemente macellati ancora coscienti, con una sofferenza che, proprio perché inutile, diventa doppiamente crudele. Da tempo tutte le organizzazioni che si occupano di tutela degli animali a livello europeo si sono impegnate per richiedere di far viaggiare le carni e non gli animali, che dovrebbero essere macellati nello stabilimento più vicino al luogo di allevamento. Si cerca inoltre di riuscire a ottenere una legge comunitaria che vieti di trasportare animali vivi per tragitti che prevedano più di 8 ore di viaggio, ma anche il divieto generico di trasportali con la campagna #StopTheTrucks. Ogni anno l’Europa è attraversata dai viaggi di due miliardi di polli e di 37 milioni di bovini, maiali, ovini e equini che vengono trasportati in condizioni di inutile sofferenza, giustificata soltanto da interessi economici. Senza parlare di altri estenuanti trasporti come quelli che originano dall’Australia che trasporta con le sue navi stalla, in viaggi che durano settimane, milioni di capi, in particolare ovini, verso i mercati di tutto il mondo e specialmente verso i paesi del medio e lontano Oriente dove il consumo di carne ovina è molto alto.
È davvero necessario?
Occorre quindi fare una riflessione critica sul consumo di carne, sull’indispensabilità di ridurlo e non solo per contrastare i maltrattamenti, ma anche per limitare i danni ambientali derivanti dagli allevamenti intensivi di animali per l’alimentazione, che consumano molte più proteine vegetali e acqua di quanto non ne producano. Un consumo quindi che oltre essere dannoso per gli animali lo è per l’ambiente ma anche per la salute umana, in dosi eccessive, alla luce degli studi compiuti dall’Organizzazione Mondiale di Sanita – OMS e ripresi dall’AIRC – Associazione italiana ricerca sul cancro.
Ancora una volta si dimostra come la tutela degli animali e dell’ambiente possa portare ricadute positive sulla nostra vita, con grandi soddisfazioni etiche e con la consapevolezza che, anche grazie al principio di riduzione del danno, la contrazione dei consumi di carne ci permetterà di inquinare meno e di sottrarre sofferenza alla già difficile vita degli animali degli allevamenti intensivi. E per chi pur avendo letto tutto l’articolo non riuscirà a compiere il sacrificio di rinunciare all’agnello sulla tavola di Pasqua pensi, almeno, di acquistare o prodotti congelati all’origine oppure carni provenienti da una filiera davvero corta, contribuendo in parte a diminuire le sofferenze durante i trasporti.
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