Pandemia, lockdown e misure restrittive non sembrano fermare quella che è ormai una triste pratica comune nel braccio di mare che separa la Tunisia dalla Sicilia: la pesca degli squali.
Ancora una volta diversi esemplari di squalo capopiatto (Hexanchus griseus) e probabilmente di cagnaccio (Odontaspis ferox) sono stati catturati nelle acque del Canale di Sicilia e sbarcati nel porto di Kelibia, località balneare a Nord di Hammamet.
A dare l’allarme l’associazione ambientalista tunisina Houtiyat, che ha denunciato la cattura di decine di grossi squali. Il canale Facebook Tuniplus ricollega il fatto all’allarme lanciato nei giorni scorsi dalle autorità di Kelibia circa una non meglio precisata invasione di squali al largo delle coste tunisine, che avrebbe portato alla chiusura delle spiagge. In realtà si tratterebbe di una attività di pesca ordinaria e non sarebbe la prima volta che grandi quantità di grossi squali sono catturate dalle flotte nordafricane, come spiegato sul sito rasadar.com.
Un’assurdità che andrebbe condannata fermamente considerando inoltre che lo squalo capopiatto è una specie prossima alla minaccia di estinzione nel Mediterraneo.
Proteggere il capopiatto
Questa specie è ampiamente distribuita in vari mari del globo, dai mari tropicali alle zone temperate. È solita vivere tra la superficie e i fondali fino a raggiungere profondità di circa 2.000 metri. Oviviparo, lo squalo capopiatto può raggiungere e superare i 4 metri di lunghezza.
Si nutre di altri squali, pesci spada, tonni, delfini razze ed altre specie, e ha principalmente abitudini notturne. Passa, infatti, gran parte del giorno in profondità e si avvicina alla superficie durante la notte.
Per questo motivo e anche a causa della sua relativa lentezza, il capopiatto è spesso catturato accidentalmente con le reti da pesca o con i plangari.
Tuttavia le sue carni non hanno alcun valore commerciale. Al momento non sono note azioni di conservazione mirate a tutelare il capopiatto. Tuttavia, la lista IUCN delle specie minacciate ne conferma il declino della popolazione e la classificazione come specie “prossima alla minaccia”. E ciò imporrebbe tolleranza zero sul numero di catture anche accidentali.
Il cagnaccio nel Mediterraneo
Corpo affusolato, muso appuntito e occhi piccoli, il cagnaccio è uno squalo del genere Odontaspis. Vive generalmente tra i 10 ed i 500 metri di profondità. Questa specie frequenta vari mari del globo e il Mediterraneo, dove lo troviamo lungo le coste del nord Africa, dell’Italia e del Libano. Secondo le stime dell’IUCN il trend della popolazione è in diminuzione anche nel Mediterraneo, come confermano le osservazioni sempre più rare.
Lo status del cagnaccio si colloca tra il “vulnerabile” e il “prossimo alla minaccia”. I fattori di minaccia per questa specie sono la pesca indiscriminata o accidentale, ma anche il declino degli habitat e della pressione antropica.
Sarebbero necessarie ulteriori attività di studio e monitoraggio della specie, per valutarne la reale distribuzione nei nostri mari.
Mancanza di controlli e di leggi specifiche
Le catture accidentali di squali nel Mediterraneo sono un problema ben noto alla comunità scientifica. Tuttavia, la quantità di esemplari pescati frequentemente dalle flotte pescherecce dei Paesi nordafricani sembra suggerire una ben precisa volontà, piuttosto che una fortuita casualità. Del resto, nei Paesi nordafricani che si affacciano sul Mediterraneo, la mancanza di leggi ad hoc per la protezione di squali e altre specie marine minacciate di estinzione consente ancora oggi la pesca e la vendita degli squali capopiatto, dei cagnacci nonché di altre specie ancora più delicate come lo Squalo bianco e lo Squalo elefante e pone dunque un serissimo problema sulla loro conservazione.
È evidente che servono azioni coordinate dei Paesi europei per sensibilizzare i Paesi africani del Mediterraneo a prendere azioni immediate e concrete per bloccare la pesca e il commercio delle specie più a rischio.
Del resto, l’impoverimento del Mare Nostrum non tiene conto dei limiti amministrativi e l’eventuale scomparsa degli squali non farebbe altro che aumentare il rischio di una “cascata trofica” con conseguenze ignote sul comparto della pesca di tutti quei Paesi che si affacciano su uno dei mari più sfruttati al mondo.
riproduzione consentita con link a originale e citazione fonte: rivistanatura.com