Le foto che circolano non lasciano spazio all’immaginazione: una ventina di esemplari di squalo capopiatto (Hexanchus griseus), tutti attorno ai 3-4 metri di lunghezza, di cui la maggior parte visibilmente maturi sessualmente, sono stati pescati da un peschereccio tunisino e sbarcati a Kelibia, città che dista in linea d’aria qualche decina di km da Pantelleria (Sicilia). I pescatori locali hanno salutato l’evento come “miracoloso”, si tratta in realtà di un danno spaventoso per l’ambiente marino, considerando anche lo scarso valore della carne di questa specie. Secondo il gruppo di ricerca francese Groupe Phocéen d’Etude des Requins, che studia gli squali del Mediterraneo, la cattura non sarebbe accidentale visto l’elevato numero di individui, ma piuttosto mirata ad esemplari di questa specie, che si trovano generalmente a grandi profondità nei nostri mari.
Lo Squalo capopiatto, specie prossima alla minaccia
Lo Squalo capopiatto è presente nella lista IUCN delle specie minacciate ed è considerato “prossimo alla minaccia”. Come tutti gli animali classificati in questo modo, quantomeno per le specie ittiche, vige la tolleranza zero sul numero di catture: nei paesi europei, infatti, ne è vietata la pesca. La mancanza di tale legislazione nei paesi del nord Africa che si affacciano sul Mar Mediterraneo consente ancora la pesca e la vendita di squali capopiatto ma anche di altre specie fortemente minacciate come lo Squalo bianco e lo Squalo elefante e pone dunque un serio problema per la conservazione. Soltanto qualche settimana fa, per esempio, l’ennesimo esemplare di Squalo bianco è stato catturato nelle acque della Tunisia, proprio laddove i biologi marini confermano l’esistenza di una grande zona di riproduzione, una delle più importanti del Mediterraneo. Il caso poi del Grande Squalo bianco è ancora più eclatante, considerato il fatto che la specie è classificata come “vulnerabile” dal IUCN ed è pertanto protetta a livello globale dalla Convenzione CITES (Appendice II), dalla Convenzione di Berna (Appendice II) e dalla Convenzione di Barcellona (Appendice II). È evidente che servono delle azioni coordinate dei Paesi europei per sensibilizzare i Paesi africani del Mediterraneo a prendere azioni immediate e concrete per bloccare la pesca ed il commercio delle specie più delicate. Del resto, l’impoverimento del Mare Nostrum non tiene conto dei limiti amministrativi e l’eventuale scomparsa degli squali non farebbe altro che aumentare il rischio di una “cascata trofica” con conseguenze ignote sul comparto della pesca di tutti quei Paesi che si affacciano su uno dei mari più sfruttati al mondo. Ma forse non ancora per molto.
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