Parlando di allevamenti intensivi il pensiero va subito nella direzione di tutti quegli animali terrestri, come bovini, suini e polli, che rappresentano il frutto avvelenato delle fabbriche delle proteine, ma raramente si sente parlare dell’acquacultura intensiva come una fonte di maltrattamento e di sfruttamento dei pesci. Eppure l’allevamento di tutte le specie ittiche avviene quasi sempre in condizioni di sovraffollamento, con grande stress per gli animali tenuti in condizioni afflittive tanto da dover essere sottoposti a continui trattamenti sanitari per evitare la diffusione di malattie.
Secondo l’organizzazione Compassion in World Farming (CIWF), l’acquacoltura può rappresentare un’alternativa alla pesca, oramai sempre meno sostenibile considerando le problematiche legate all’eccessivo sfruttamento degli stock ittici, a patto che possano migliorare grandemente le condizioni di vita degli animali allevati. Un’idea che può non piacere a quanti caldeggiano una dieta basata unicamente su proteine vegetali, ma che deve comunque tenere conto dell’attuale orientamento del mercato considerando che oggi più del 50% del pesce consumato proviene da acquacoltura.
Il report di CIWF dal titolo “Rethinking EU Aquaculture: for People, Planet, and Animals (Ripensare l’acquacoltura nell’UE per le persone, il pianeta e gli animali)”, è il primo a tracciare un collegamento fra i problemi ambientali e di sostenibilità causati dall’allevamento intensivo di pesci nell’UE, concludendo con la necessità di abbandonare per sempre questo tipo di produzione con il fine non soltanto di migliorare il benessere degli animali ma anche con quello non secondario per il pianeta di creare un’industria più sostenibile e con un minor impatto ambientale (scarica qui la sintesi del documento).
Le problematiche degli allevamenti intensivi di pesce sono solo apparentemente diverse da quelle che si registrano in quelli di specie terrestri, come ad esempio l’inquinamento derivante dai reflui e dai trattamenti sanitari, ma anche nel cattivo uso di proteine con tassi di conversione sfavorevoli. Se per produrre carne e latte si crea un enorme dispendio di proteine vegetali, con consumi molto più alti di quanto viene restituito in proteine animali, identico discorso lo si può fare negli allevamenti ittici, dove vengono utilizzati pesci che potrebbero essere destinati direttamente all’alimentazione umana per produrre, invece, mangime in grado di alimentari altri pesci, carnivori, capaci di generare una minor resa in termini proteici ma un maggior guadagno sotto il profilo economico.
Ogni anno nella sola Unione Europea vengono allevati tra 0,5 e 1,2 miliardi di pesci. Per massimizzare il profitto vengono allevati ad alte densità e vengono quasi sempre macellati in modo crudele, senza essere preventivamente storditi.
L’allevamento ittico intensivo danneggia l’ambiente a causa delle deiezioni dei pesci e al rilascio di sostanze chimiche. L’allevamento di specie carnivore, come gamberi, salmoni e trote, ha un forte impatto ambientale e richiede mangimi ricavati da pesci che potrebbero essere utilizzati per il consumo umano, come acciughe o sardine.
Con una popolazione mondiale che ha superato gli otto miliardi di persone non è più sostenibile per il pianeta sfamare la parte ricca del pianeta senza tenere conto delle necessità alimentari di quella più povera, che diversamente sarà costretta a procurarsi il cibo con sistemi poco sostenibili, come la deforestazione, gli incendi e la sovrapesca.
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