Gabriel Marcel, scrittore e filosofo francese (Parigi 1889-1973), considerato il maggior esponente del contemporaneo “esistenzialismo cristiano”, è stato un fautore del dialogo coi non credenti. Per gran parte della sua vita ha evocato la possibilità di camminare insieme, perché camminando gli uni a fianco agli altri, credenti e non credenti, possono trovare delle concordanze, pur restando reciprocamente fieri delle proprie differenze.
L’esperienza del cammino, non solo nella sua versione interiore, ma intesa anche come fatica e confronto tra compagni di viaggio è stata al centro dell’opera di Marcel. Negli anni ’50 pubblicò una raccolta di saggi intitolata Homo viator. Inizia in questo modo: “Un ordine terrestre stabile si può forse instaurare solo se l’uomo conserva una viva coscienza della sua condizione itinerante”.
Questo messaggio è tutt’oggi significativo. C’è un’inquietudine, una enigmaticità nella condizione di essere umano che non spetta alla scienza risolvere, e nemmeno alle religioni. È una enigmaticità che viene riconsegnata a noi stessi, però non per perpetuare conflitti, bensì per unirci in un percorso di avanzamento lento verso qualcosa che non conosciamo.
“L’uomo può conservare una viva coscienza di sé soltanto nella condizione itinerante”, cioè nella coscienza di dover riprendere il percorso. Certo, nel nostro avanzare consolidiamo posizioni, acquisiamo certezze. Le mete che via via raggiungiamo sono fonte di sicurezza. Ma oggi noi abbiamo bisogno di rivalutare l’insicurezza. Ecco, la grande metafora del cammino ci ripropone proprio il piacere di andare vacillando, di vivere con incertezza alcuni motivi della nostra vita che non sappiamo risolvere.
L’inquietudine, l’enigmaticità del nostro destino non sono soltanto inevitabili, sono salutari. Restando perennemente in cammino possiamo accettare e comprendere il peregrinare degli altri. Soprattutto di chi è in cerca di pane, scappa dalla miseria e dalla violenza.
solvitur ambulando