Premetto che ciò che segue non è un discorso francescano, non è religione e nemmeno afflato mistico, men che meno politica. È che, troppo spesso, dimostriamo di essere piccoli e miseri o, forse, più semplicemente, poco intelligenti.
Mi riferisco al fatto che ogni tanto dovremmo ascoltare chi abbiamo di fronte. Ma sul serio. Soprattutto, dovremmo pensare che chi ci parla – e magari sta tentando di farlo con un lampo nello sguardo o con un gesto apparentemente insignificante – ha un suo pensiero, sue esigenze, una sua filosofia di vita. Che probabilmente non coincidono con i nostri.
Invece, in quest’epoca complessa, “ci parliamo addosso”, gettiamo in faccia al prossimo i nostri spesso-inutili pensieri: io, me e mio pervadono quella massa biancastra e molliccia che sta dietro ai nostri occhi.
Mancano silenzio e ascolto.
In realtà, la maggior parte delle volte, non siamo realmente interessati a quello che gli altri pensano e vogliono dirci. Succede nelle amicizie, in famiglia, nelle città, negli stati, nei continenti: nei rapporti sociali e in quelli commerciali e, purtroppo, anche in quelli di forza.
Ma ciò che faccio – o non faccio – mi ritornerà in “forza uguale e contraria”. Lo enuncia Newton nel terzo principio della dinamica. E questo succede anche con le azioni della nostra vita. La Fisica entra di fatto nel nostro quotidiano. Potremmo trarre solo dei vantaggi ad applicare questa regola facendone buon uso. Per aprirci e uscire dalla chiusa oscurità di noi stessi.
*Io, me, mio, sintetizza la nostra grande concentrazione su noi stessi. È un importante passaggio della filosofia induista ed è, fra l’altro, il titolo che il beatle George Harrison, ha dato a una sua famosa canzone.
I, Me, Mine è anche il titolo di un libro autobiografico scritto dall’ex Beatle, edito in Italia da Rizzoli.
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